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I soccorsi dopo la tragedia del Raganello

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CIVITA (COSENZA) – Nel dedalo intricato di vicoli che dalla piazza conducono al centro storico non è solo il rintocco delle campane a dominare il silenzio. Di tanto in tanto, dai portoni delle case vengono fuori accenti diversi come in una piccola babele, si sentono gli schiamazzi di qualche bambino, il rombo del fuoristrada che accompagna i visitatori giù fino a valle per il tour panoramico del “Ponte del diavolo” e, stancamente, li riporta su. E poi c’è un suono, impercettibile, lo squarcio di una ferita che non si è rimarginata.

Civita, un anno dopo il dramma del Raganello, è ancora attonita. Un senso di smarrimento, di paura, di impotenza, è impresso nei volti della gente che si incontra per strada. E il refrain collettivo, il mantra che tutti recitano per esorcizzare questi sentimenti è uno solo: «Dobbiamo tornare in acqua». In altre parole, le Gole – una delle attrattive turistiche più preziose per l’economia di questa comunità, oggi inaccessibili perché sotto sequestro dell’autorità giudiziaria – devono riaprire, e bisogna fare in fretta. La pensa così anche Pierino, titolare di un bar che si affaccia proprio sulla via principale. Fino a un anno fa, era lui a preparare la colazione ai turisti che, muniti di casco e imbracature, di buon mattino già affollavano il locale prima di far visita al canyon: circa un centinaio di persone ogni giorno consumavano il caffè e il cornetto nel suo bar prima dell’escursione.

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«Se le Gole non riaprono qui perdiamo tutto», confessa dispiaciuto. E quando gli si obietta che la piazza non sembra poi tanto deserta, ribatte: «Sì, è vero. Ma non è nulla se pensiamo che l’anno scorso a quest’ora c’erano 300 persone in acqua e almeno mille in giro per il borgo. Io avevo una casa kodra (una costruzione tipica del posto, con la facciata che ricalca i tratti di un volto umano, ndr), una delle più antiche di Civita – afferma mostrando la foto alle sue spalle – ma ho deciso di non investire, l’ho venduta».

LA SCHEDA: I PROFILI DELLE VITTIME

Pierino racconta anche della macabra tendenza al “turismo nero”, praticato dai curiosi che vogliono vedere con i propri occhi il luogo in cui lo scorso anno persero la vita dieci persone, inghiottite dalla piena del torrente.

Il vicepresidente della Pro Loco di Civita Antonluca De Salvo parla della percezione di un buon «40% in meno di afflusso turistico» rispetto al passato. «A fine settembre convocherò i proprietari degli esercizi commerciali civitesi per fare il punto della situazione – fa sapere De Salvo, che è anche presidente del consiglio comunale –, vedremo se il lavoro svolto in quest’anno (le Vallje, i gemellaggi con l’Albania, il festival teatrale, la “Notte romantica”) ha consentito di recuperare le presenze perse con il canyoning: se così è, vuol dire che non avrà senso rientrare in acqua e le Gole non riapriranno più. In caso contrario, dopo che la giustizia avrà fatto il suo corso, bisognerà regolamentare l’accesso: ingresso entro le 14 e non oltre i 600 metri di profondità, sistemi di allarme, videosorveglianza e controllo luminoso. Sarà necessario investire milioni di euro, ma io ritengo che sia l’acqua a portare sviluppo, questo è il mio parere personale».

Non mancano, comunque, le voci fuori dal coro, in particolare quelle di alcuni gestori di b&b, per i quali il danno c’è stato sì, ma si è trattato soprattutto un «danno morale». Per Stefania Emmanuele, che gestisce un affittacamere, le Gole sono solo una delle tante peculiarità del territorio, destinatarie di un tipo di turismo “mordi e fuggi”: «Chi viene qui per fermarsi, al contrario, lo fa perché ama la bellezza, la lentezza, il buon cibo, l’aria buona, vuole conoscere la nostra storia, le nostre tradizioni. La verità è che bisogna smetterla di improvvisare, di puntare al business facile – sostiene Stefania -, dobbiamo diffondere la conoscenza dei luoghi, dobbiamo informare le persone su cosa è Civita, solo così possiamo ripartire».

È d’accordo con lei anche la signora Eva, che ospita i villeggianti nella casa che fu dei suoi nonni. Sostiene che dopo i fatti del Raganello è venuta a mancare una grossa fetta di turismo giovanile e che, di contro, è cresciuta la percentuale di turismo destagionalizzato, composta in buona parte da stranieri. Dal terrazzo della sua struttura la vista del massiccio del Pollino è incantevole: «Il problema non sono le Gole. Basta guardarsi intorno: c’è bellezza ovunque. Il problema è che nessuno promuove la Calabria, dovrebbe farlo la politica, le istituzioni, ma soprattutto dovremmo farlo noi».

Seduta al tavolino di un bar c’è una famiglia di chiare origini pugliesi, il papà annuncia di voler andare in montagna a vedere il pino loricato. Forse il segno che Civita, nonostante tutto, resiste.

Le manifestazioni per ricordare

A un anno dalla tragedia in cui morirono dieci persone, nove escursionisti e una guida, travolte da un’onda di piena del torrente Raganello, l’intera comunità di Civita, l’amministrazione comunale e la Parrocchia “Santa Maria Assunta, oggi pomeriggio si raccoglieranno in preghiera per la celebrazione, alle ore 18, presso la Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Assunta di una messa in suffragio delle dieci vittime della tragedia che sconvolse l’Italia.

Alla cerimonia religiosa parteciperanno, oltre alla comunità di Civita, le autorità civili, religiose e militari del comprensorio, i componenti del “Comitato Familiari Vittime del Raganello”, presieduto da Teresa Santopaolo, i familiari delle dieci vittime e i rappresentanti istituzionali delle comunità di alcune delle vittime. Subito dopo la celebrazione liturgica, alle 20, organizzata dal “Comitato Familiari Vittime del Raganello”, ci sarà unapasseggiata – fiaccolata” che partendo dalla Chiesa Santa Maria Assunta arriverà al Belvedere”.

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