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Il procuratore Domenico Airoma, tra gli intervenuti alla presentazione

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PAOLA (COSENZA) – Criminalità organizzata e consenso elettorale: mercimonio del voto e collusioni politico-mafiose. Si è discusso di questi argomenti, ieri pomeriggio, in sinergia e sintonia con il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli, nella persona del professore di Diritto penale Vincenzo Maiello.

Un confronto proficuo scaturito dal libro di Pierpaolo Bruni, procuratore di Paola, già sostituto presso la Dda di Catanzaro, dal titolo: “L’inquinamento elettorale: il mercimonio del voto con riferimento ai reati contro la pubblica amministrazione e alle collusioni politico-mafiose”.

Autorevolissimi i relatori intervenuti, appartenenti al mondo accademico e alla magistratura. Oltre a Maiello e Bruni – il primo ha vestito i panni di moderatore, intervallando i vari interventi con articolate e profonde riflessioni tecniche – sono intervenuti il componente del Consiglio Superiore della Magistratura, Antonio D’Amato, che ha mosso i primi passi in toga come pubblico ministero a Palmi, quanto era procuratore Agostino Cordova; Domenico Airoma, procuratore della Repubblica di Avellino; Enrico Mezzetti, professore ordinario di Diritto penale all’Università Roma Tre. Ha assistito ai lavori, tra gli altri, Domenico Introcaso, presidente della Corte di Appello di Catanzaro. E poi tanti avvocati, dipendenti della Giustizia, giornalisti.

Gli intervenuti hanno esaminato i riflessi penalistici di quelle condotte che alterano e condizionano in modo patologico la libertà di espressione del voto democratico, la normativa elettorale e quella codicistica, il metodo mafioso, la “legge Lazzati” e tanti altri aspetti dell’inquinamento elettorale riportati in modo comprensibile anche ai non addetti ai lavori.

Nell’introdurre il dibattito, il professor Maiello ha spiegato che libro di diritto penale realizzato da Bruni “intende discutere – dal punto vista di chi queste vicende le ha vissute direttamente, avviando azioni investigative e partecipando da primo attore alla celebrazione dei processi che ne sono nati – di un aspetto peculiare della realtà sociale e politico-istituzionale che è l’inquinamento elettorale; inquinamento che nel sud assumere caratteri drammatici perché interseca il condizionamento che proveniente dalle mafie storiche”. Insomma, una “riflessione a tutto campo, consapevole e articolata” che appassiona e coinvolge i relatori.

Il procuratore Domenico Airoma, dal canto suo, ha colto due aspetti importanti da questo lavoro di “elevato spessore”: la ricerca scientifica gestita con “ardore investigativo” e la “preoccupazione dell’investigatore, avendo constatato una serie di lacune”, visto che il “voto rappresenta l’aspetto centrale della vita democratica”. “La tutela della libera determinazione del diritto al voto – dovrebbe essere momento di estrema preoccupazione per il legislatore”, secondo Airoma, che ha parlato di “reati a soggettività limitata ma anche a temporalità circoscritta”, strumenti investigativi che limitano l’intervento degli inquirenti. Il procuratore di Avellino, sempre in tema di reati elettorali, ha evidenziato una serie di contraddizioni determinate negli anni dal legislatore. Questi reati, intanto, sono una cosa a sé, rispetto alla corruzione e alla concussione, ed un’altra ricaduta di questo vizio di fondo è la posizione dell’elettore: “partecipa a questo mercimonio e deve essere considerato indenne da tutto. Non si comprende tutto ciò”, ha puntualizzato.

“Se non ci fosse il ricettatore – è l’esempio formulato dal dottor Airoma – i ladri sarebbero meno invogliati a rubare, considerato che nessuno recepirebbe il provento del reato”. “Non vedo perché – ha osservato – l’elettore debba essere del tutto esente da censura. Sono delle contraddizioni”.

Sulla Legge Lazzati si è chiesto come sia possibile pensare che il sorvegliato speciale non possa fare propaganda elettorale, ma possa farla il condannato per mafia? “Questa legge – ha fatto presente – sconta il vizio di fondo a proposito di reati elettorali. E’ come se il mafioso e il sodalizio si impegnassero solo nella fase di presentazione delle liste elettorali in avanti, e non prima. Sappiamo, però, che i mafiosi si attivano molto tempo prima”. Airoma ha poi detto che il libro di Bruni è scritto in un “linguaggio agile, comprensibile ai non addetti ai lavori; tratta di questioni di giustizia vera, profonda. E ha concluso con una citazione di Rosario Livatino, ossia che la giustizia non può e non deve essere un affare di pochi magistrati.

Il consigliere del Csm Antonio D’Amato ha subito introdotto l’argomento sul volume di Bruni parlando di “un libro che riesce a coniugare bene rigore scientifico ed esperienza”. Ed ha osservato: “Chissà cosa penserà lo studioso di diritto penale quando leggerà questo libro e quale idea si potrà fare della nostra epoca”. D’Amato ha poi ripercorso la lunga e “intempestiva” evoluzione della legislazione in materia, allorquando, sul finire degli anni ’80, ci si è accorti che “l’inasprimento in campo penalistico non era sufficiente a contrastare le azioni della criminalità organizzata” e, quindi, il legislatore ha messo in atto anche “azioni di contrasto alla corruzione”.

Ricorda l’impegno e le sollecitazioni di Giovanni Falcone per organizzare e completare l’azione di contrasto alle mafie e la “sovraesposizione dei Pm” per via di interventi poco efficaci del legislatore. E poi, ricostruendo l’evoluzione legislativa della fattispecie di cui al patto elettorale politico-mafioso, ha stigmatizzato la configurazione che “integrava il reato solo nel momento della erogazione del denaro. Come se il politico – ha osservato – si limitasse a dispensare denaro per avere voti. In realtà – ha aggiunto – nei comuni delle regioni del Sud, la criminalità organizzata possiede più soldi del politico e non ha bisogno di denaro, ma solo di accaparrarsi la disponibilità del politico per ottenere appalti, assunzioni e vari favori, inserendosi nella Pubblica Amministrazione”.

Enrico Mezzetti ha posto l’accento sul “fulcro del problema”: il “legislatore-inseguitore usa una legislazione per tipizzazione progressiva o per tappe”. In sostanza si introducono delle “ipotesi” e si “attendono degli effetti” per intervenire nuovamente con “correttivi”. Il legislatore, dunque, “è un po’ sordo alle istanze che provengono dalla società civile – ha detto il relatore – e “più sensibile alle voci” che arrivavano da altri ambienti e dagli “orientamenti giurisprudenziali”.

Il procuratore Bruni ha concluso parlando della “messa a disposizione del candidato” rispetto all’organizzazione criminale: “Ciò non può non essere considerato come un momento di prestigio del mafioso o del suo gruppo”, visto che tale circostanze “ne accresce la capacità di intimidazione sia dentro sia rispetto agli altri gruppi criminali”.

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