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Paride Leporace e Alessandra Carelli durante la manifestazione

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TARSIA (COSENZA) – Il valore D nella Resistenza. Così inizia l’incontro con gli studenti della scuola media della cittadina di Tarsia accompagnato dalla mostra comunicativa e fotografica “Le invisibili” realizzata da Rosellina Arturi, pannelli didattici comunicativi inseriti all’interno del progetto regionale Memory art arrivato alla terza edizione di cui è direttore artistico Paride Leporace, vicedirettore del Quotidiano.

L’accoglienza degli interventi è stata affidata ai padroni di casi, il sindaco Roberto Ameruso, e Roberto Cannizzaro, delegato alla Cultura che rivendica il grande sforzo che sta facendo Tarsia verso l’inclusione e all’apertura di chi vive disagi razziali.

Ecco la donna nella resistenza, una battagliera che utilizzava sovente la logica delle parole della stampa dei materiali di propaganda, della distribuzione di volantini, dell’approntamento di documenti falsi.  Preparavano rifugi e nascondigli, organizzavano il trasporto di munizioni, armi, esplosivi,  raccoglievano indumenti, medicinali e viveri, portando avanti il fondamentale ruolo d’organizzazione e supporto all’azione dei combattenti. 

Molto qualificati gli interventi che hanno visto allo stesso tavolo Pino Armino ingegnere di professione e storico della resistenza per passione, con un occhio particolare a quella delle donne che hanno lavorato per il bene comune in quegli anni di difficile comprensione.

«È grazie a loro – afferma davanti alla scolaresca attenta – che oggi voi siete libere di esprimervi in libertà, di avere acquisito il diritto al voto dal 1946. E se ancora di questi tempi, una donna deve affermare il suo credere, immaginate settanta ottanta anni fa quando il fascismo puntava tutto sulla mascolinità e la virilità dell’uomo».

A difendere il ruolo così importante della donne partigiane in Italia che sceglievano spesso nomi di battaglia come Wanda, Sandra, Dimma per non nuocere alla famiglia e a elencare le partigiane calabresi, ci ha pensato Alessandra Carelli, presidente dell’Anpi provinciale di Cosenza storica dell’arte e restauratrice. Non ne ha dimenticata neppure una, e Nina, Beba, Cecilia, Angiolina sono solo alcune delle “gonnelle” che hanno rischiato o sono morte in nome della libertà della patria.

Spesso le hanno appellate «donne dai costumi leggeri o semplicemente staffette – afferma con passione Alessandra Carelli – mentre sono state un esercito di combattenti e “biciclettiste”, che pedalavano come il vento». Ha concluso la giornata densa di emozioni Franco Araniti figlio del partigiano Carmelo, nome da combattente “Melo”. Il suo sguardo, davanti alla platea dei giovanissimi studenti nel raccontare alcuni episodi del papà partigiano si illumina.

È forte il suo desiderio di trasferire alle giovani generazioni, compreso i suoi nipoti le bellissime parole lasciate in eredità da “Melo”: «Tenetevi stretti la pace e la libertà».

Un momento carico di emozione che ha preso il cuore della platea in rigoroso silenzio. Ecco, queste sono le donne che hanno combattuto come uomini e poco importava se in gonnella o in pantaloni, il loro look solo un dettaglio. E anche se la scoperta, al termine della guerra, che il posto riservato alle donne era ancora lo stesso in disparte e lontano dagli onori che sarebbero stati a loro dovuti. Le loro storie e le loro immagini sono impresse in una mostra permanente a Tarsia.

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