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SI celebra oggi la Giornata mondiale della salute mentale 2020, anno in cui il benessere psicologico di adulti e bambini di tutto il mondo è stato messo a dura prova. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) stima che nel mondo quasi un miliardo di persone convive con un disturbo mentale e che si verifichi un suicidio ogni 40 secondi. Numeri spaventosi, “destinati a cambiare radicalmente a causa dell’impatto che la pandemia di Covid-19 sta avendo sulla popolazione di tutto il mondo”.

Guardando al mondo femminile in particolare 2 donne su 10 soffrono di un problema di salute mentale durante la gravidanza e nel primo anno dopo il parto. Oltre il 75% di queste donne non riceve una diagnosi e un’attenzione adeguata. E la mancanza di un trattamento specifico ha importanti conseguenze sulla madre, sul bambino, sulla famiglia e sulla società in generale.

Il profondo cambiamento fisico ed emotivo, le pressioni sociali, l’ansia di non essere all’altezza di ideali di perfezione genitoriale rendono i nove mesi un periodo davvero complesso. Ecco perché è necessario continuare a parlare di salute mentale materna. Ne abbiamo parlato con Cecilia Gioia, psicoterapeuta, responsabile dell’Ambulatorio del Benessere Psicologico della Donna riconosciuto da Onda presso Sacro Cuore di Cosenza.

La maggioranza delle puerpere (70-80%) sperimenta una reazione emotiva all’esperienza del parto, il cosiddetto “baby blues”.

«È uno stato transitorio benigno. Tale reazione è caratterizzata da tristezza, ansia, fluttuazioni dell’umore, stanchezza, irritabilità, facilità al pianto, ha un picco tra la terza e quarta giornata e generalmente si risolve entro i primi 10-15 giorni dalla nascita».

Una minoranza significativa (dall’8 al 15%) delle puerpere va incontro ad un disturbo vero e proprio: la depressione post-partum.

«Essa insorge entro la 4-6° settimana e comunque entro i primi 6 mesi dal parto. È caratterizzata principalmente dall’umore depresso, dalla perdita di interesse e piacere per quasi tutte le attività quotidiane e da mancanza di desiderio sessuale, sensi di colpa e inadeguatezza, stanchezza, disturbi del sonno e dell’appetito, pensieri di suicidio. In assenza di diagnosi e trattamento adeguato il 25% continua ad averla in forma grave dopo un anno dall’esordio.

Nel profilo clinico della depressione si trova anche la psicosi puerperale che interessa lo 0,1- 1,2% di tutti i parti.

«I sintomi compaiono generalmente entro le prime 4 settimane dal parto, quando il rischio di ospedalizzazione per psicosi è di 22 volte superiore a quello pregravidico, ma può manifestarsi fino a 90 giorni dopo il parto. Un secondo, seppur minore picco di incidenza compare tra i 18 e i 24 mesi. Questi dati indicano un fenomeno in gran parte sommerso che fa sì che le donne che ne soffrano si percepiscano come cattive mamme e vengano considerate dal proprio contesto familiare come madri inadeguate. La letteratura internazionale conferma come questo disturbo lascia i segni non solo sulla donna ma anche sul bambino o la bambina. Si osserva infatti uno svezzamento precoce dal seno, un’influenza sullo sviluppo, soprattutto cognitivo, del figlio o figlia, disturbi dell’attaccamento, situazioni di incuria e di maltrattamento infantile, un aumento dei conflitti di coppia».

E in Italia?

«Manca, nel nostro territorio, uno spazio fisico e culturale per accogliere e sostenere la donna con depressione perinatale, il suo bambino o la sua bambina e la sua famiglia. Il timore di una stigmatizzazione poi allontana le mamme dal potenziale aiuto perché la donna che si dichiara depressa rischia di essere etichettata come malata, anche per tutta la vita. Una donna che si dichiara depressa con sentimenti di rifiuto verso il figlio o figlia, si espone allo sguardo critico anche del compagno e della famiglia. Questo è il motivo principale per cui la donna non parla della sua depressione perché ancora considerata un tabù».

Cosa fare?

«In termini di intervento è necessario mettere il partner in condizione di supportare la compagna senza perdere la fiducia in lei. È necessario coinvolgere anche gli altri componenti della famiglia per alleggerire il carico di lavoro della mamma. Spesso però queste reti familiari e parentali mancano».

Un aspetto che caratterizza la vita di una neomamma è la solitudine.

«Dopo la nascita ogni donna sente la difficoltà di conciliare il nuovo ruolo con tutti gli altri con un aumento di stress, ansie, sentimenti depressivi, fatica fisica ed emotiva. Una solitudine che acuisce il senso di inadeguatezza spesso si trasforma in resa. Noi operatori della salute mentale abbiamo il dovere di prenderci cura di tutto questo informando, prevenendo e curando».

In che modo?

«La prevenzione primaria riguarda la messa di atto di interventi, prima della comparsa del disturbo, volti a ridurre il rischio depressivo nelle madri. Identificare i fattori di rischio è un’azione necessaria per la tutela della salute mentale della donna, possibile grazie a una formazione specifica degli operatori in ambito perinatale. È necessario inoltre rendere competenti le figure mediche familiari alla mamma ad effettuare una valutazione clinica di primo livello. Altro aspetto fondamentale è informare il partner sull’importanza di identificare precocemente i segni clinici, attraverso incontri informativi nei percorsi di accompagnamento alla nascita e alla genitorialità. Intervenire in maniera precoce sui primi segnali del disturbo implica il monitoraggio del tono dell’umore della donna a partire già dalla gravidanza, ciò è reso possibile da un’azione coordinata tra i professionisti coinvolti. La prevenzione terziaria riguarda gli interventi effettuati sulla donna quando è già depressa. Per essere efficaci i trattamenti farmacologici e psicologici del disturbo devono rivolgersi non solo alla donna stessa, ma anche alla diade madre- bambino/a e alla coppia genitoriale».

Qual è la sua esperienza?

«Spesso sono contattata da mamme, in attesa di partorire, con una sofferenza psicologica importante e che non hanno ricevuto l’adeguato riconoscimento e il successivo invio agli specialisti che si occupano della salute psicologica perinatale. Il lavoro sinergico tra psicoterapeuti esperti di perinatalità, psichiatri, ginecologi e ostetriche permettono una presa in carico assistenziale dei bisogni della neomamma, del bambino o della bambina, del papà e della famiglia in generale».

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