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Babak Karimi, Marco Tullio Giordana, Angelo Barbagallo al premio Mario Gallo

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QUESTA settimana siamo arrivati fino in Iran per sapere come sta vivendo la pandemia Babak Karimi, poliedrico intellettuale “adottato” da molti anni dal nostro paese. Montatore, attore – è uno degli interpreti de Una separazione di Asghar Farhadi, primo premio Oscar nella storia del cinema iraniano – ora anche regista teatrale.

Professionista del cinema impegnato nella difesa dei diritti umani e della libertà di espressione, Karimi, arriva a Cosenza nel 2009 per ricevere dalla Cineteca della Calabria il premio Mario Gallo, portando con sé una copia di Green Days, dell’allora giovanissima Hana Makhmalbaf, il primo instant movie sui giorni della speranza “verde” del popolo iraniano repressa dal colpo di stato di Mahmud Ahmadinejad.

Babak, come vive il Coronavirus a Teheran?

«Più o meno come si vive in tutte le parti del mondo, con la differenza che qui non c’è stata la serrata rigida che c’è stata in Italia o in Francia. Essendoci una crisi economica pregressa molto forte, a cui si aggiungono le sanzioni, lo Stato non è in grado né di controllare né di sopperire la carenza economica che si è creata quindi hanno sbloccato una serie di attività. Di fatto, i negozi sono aperti, la gente è fuori e, purtroppo, pochi rispettano la distanza sociale e l’uso delle maschere. Questo è molto pericoloso, tant’è che gli esperti prevedono un nuovo forte picco, tra poco. Io sono a casa. Sono uscito poche volte, giusto per fare la spesa. Avevo molte cose da fare che rimandavo da tempo. Finalmente il momento è arrivato e mi sono dedicato alle faccende domestiche, a sistemare l’archivio fotografico, a scrivere. Sto lavorando a due progetti cinematografici».

Le autorità iraniane come stanno affrontando il coronavirus?

«Le autorità iraniane, purtroppo, come quelle di tutto il mondo si sono accorte tardi della gravità della situazione. C’è stato prima un approccio molto timido, poi un approccio un po’ più serrato e poi per la crisi economica e l’incapacità, anche strutturale, di poter sopperire a tutte le carenze, hanno lasciato mano libera. Cioè, loro consigliano distanza sociale, maschere, disinfettanti lasciando libero arbitrio alla popolazione. Ma siccome buona parte delle persone considera questo come una fine dell’emergenza, allora bisogna che ognuno pensi a se stesso. E anch’io cerco di preservarmi come posso».

Insieme ad altri intellettuali iraniani, si è schierato ufficialmente contro l’inutilità delle sanzioni Usa.

«Si, anch’io ho firmato l’appello contro le sanzioni. Gli americani puntano al cambio di regime e non si rendono conto che ci sono 80 milioni di persone che vivono una crisi economica pazzesca e quindi molte aziende chiudono. L’Iran è un paese dove c’è il 70 per cento di giovani e quindi c’è un cambio generazionale in atto. Le sanzioni stanno bloccando il cambio generazionale, molte attività di questi giovani si sono fermate, le importazioni sono bloccate, il servizio bancario è completamente staccato dal sistema bancario internazionale. Tutta la dinamica economica si è inceppata».

Da molti anni, ormai fa la spola tra Oriente e Occidente. Pensa che si sia fermata la grande vitalità del cinema iraniano che tanto successo ha avuto in Europa a partire dagli anni ’90?

«La grande vitalità del cinema iraniano non è finita. La trasformazione sociale che sta vivendo il paese, ovviamente, sta portando anche ad un cambio cinematografico. Questa nuova generazione è totalmente diversa come formazione, come visione del mondo, da quella precedente. Quella precedente era più localizzata mentre la generazione nuova che è figlia di internet, delle tecnologie, ha una visione molto più ampia della questione Cinema e Arte. E quindi c’è in questo momento una ricerca formale nel cinema iraniano molto interessante, soprattutto nei cortometraggi. Quando, però, dai cortometraggi si arriva al lungometraggio, cominciano i problemi, con il mercato che soffoca tutto perché il cinema comincia ad essere una cosa costosa anche qui. Allora bisogna ripagarsi dei soldi quindi devi appoggiarti all’attore di nome, a storie divertenti. Insomma si cerca una via popolare. Però ci sono delle belle teste che io seguo, con alcuni collaboro. Sono fiducioso perché c’è una vastità di produzione che fa, ancora, invidia al resto del mondo».

Da Teheran, come vede il futuro del cinema italiano?

«Anche il cinema italiano soffre in qualche modo delle stesse condizioni, del cinema iraniano. Nel senso che c’è un cambio generazionale, però l’industria è ancora vecchia, ha una mentalità obsoleta, quindi si rischia poco sui giovani. Per questo motivo, molti che iniziano bene strada facendo rischiano di perdersi. Però anche nel cinema italiano vedo delle cose molto, molto interessanti. Ci vorrebbe un ricambio a livello di programmazione politica, economica, è lì il vero vecchiume».

Quando tornerà in Italia e quali progetti l’aspettano nel nostro paese?

«In questo periodo avrei dovuto essere su una serie in Italia. Quando è scoppiata la pandemia, avevo uno spettacolo teatrale che dirigevo ed in cui recitavo in teatro – il testo di Elvira – ma dopo una settimana abbiamo dovuto sospendere, poi avrei dovuto fare due film in Iran. Ovviamente tutto si è bloccato. Per ora non sappiamo cosa succederà, aspettiamo gli eventi ma temo che staremo fermi per un bel po’».

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