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Gegè Telesforo

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CASTROVILLARI (COSENZA) – Il Peperoncino Jazz Festival 2021 stasera arriva in quel di Castrovillari, per una serie di appuntamenti, che grazie ad una bella intuizione del direttore artistico del PJF, Sergio Gimigliano è stata istituzionalmente brandizzata come “Castrovillari Città Festival”. Il magnifico Castello Aragonese, alle ore 22, ospiterà un concerto jazz del quartetto capitanato dall’iconico Gegè Telesforo, personaggio di spettacolo poliedrico con una carriera trentennale alle spalle. Polistrumentista di talento, vocalist raffinato – innovatore della tecnica scat – produttore, compositore, ma anche entertainer carismatico, giornalista, conduttore e autore di programmi radiofonici e televisivi, Gegé Telesforo è nato artisticamente con Renzo Arbore, che ne ha scoperto le incredibili doti vocali. Telesforo si esibirà per il PJF avendo al suo fianco il pianista Domenico Sanna e il batterista Michele Santoleri. Con loro sul palco, in qualità si special guest, salirà Dario Deidda, unanimemente considerato uno tra i migliori bassisti al mondo.

Dopo tanto tempo si torna nei teatri, nelle piazze, per suonare. Come abbiamo fatto tanto tempo senza musica dal vivo?

«È stata una vera e propria resistenza, per quanto riguarda tutto il comparto della musica. È stato molto difficile abituarsi ad una nuova dimensione, ad una nuova realtà. Personalmente ho trascorso un lungo periodo di clausura a casa dedicandomi a mia figlia, allo studio e a produrre il programma “Sound Check – Il suono della musica” per Radio24, che da sempre ho realizzato nel mio studio personale a casa. Una fortuna tra mille difficoltà, dato che il covid me lo sono anche preso, e ho vissuto lunghi periodi di isolamento. Fortunatamente il periodo difficile l’abbiamo passo. A marzo quando abbiamo iniziato a ipotizzare questa tournée con Dario Deidda, tutto sembrava impossibile e infatti l’abbiamo intitolata impossibile tour. Poi, per fortuna, è diventato di fatto un “possible tour”. Ora abbiamo un bel numero di concerti e km all’attivo, come facciamo da sempre. Non posso nasconderti che è bellissimo. Anche se andiamo in giro in un periodo di vacanzieri inviperiti, stiamo riscoprendo la bellezza del nostro paese, suonando in location spettacolari. Ci sono state aperte porte di luoghi importanti. per un pubblico attento che partecipa attivamente, anche con nuovi sentimenti. Sono ad un passo dai 60 anni ma ho l’entusiasmo di un ragazzino alla prime armi e si sente anche sul palco».

Come cambia il modo di fare e percepire la musica in base ai suoi “luoghi”? Mi riferisco alle piazze, alla radio, alla tv?

«Per ciò che riguarda noi, che facciamo un certo tipo di musica, forte di un background tipicamente jazzistico, che si basa su un forte impatto ritmico ma anche sull’interpretazione, sull’emozione del momento, risentiamo molto dell’ambiente dove ci ritroviamo a suonare. Per chi fa pop invece, che è simile alla propria proposta discografica, e che ogni sera propone lo stesso tipo di andamento, di sonorità, cambia ben poco».

Ogni concerto è qualcosa di unico?

«Sì, ogni concerto è unico e in questo periodo è anche qualcosa di speciale, un vero e proprio avvenimento. Lo è anche per noi che, permettimi di dirlo, siamo proprio felici di andare in giro a fare la nostra musica e di tornare a suonare per un’organizzazione ormai collaudata, impeccabile, accogliente e ospitale come quella del Peperoncino Jazz festival di Sergio Gimigliano. Anni fa dissi in un’intervista che meriterebbe un ruolo quasi istituzionale per aver unificato almeno musicalmente una terra complessa e orgogliosa come la Calabria».

Se il jazz fosse una pozione magica, quali sarebbero i suoi ingredienti?

«Intanto credo che per fare la musica che stiamo proponendo noi in questo periodo ci sia bisogno di una grande cultura a livello musicale, e non solo. Anche di una grande apertura mentale. Non ci limitiamo a canoni tipici del jazz o della musica afroamericana, ma spaziamo tra le spezie meravigliose che l’universo ci ha proposto. Io musicalmente da sempre sono onnivoro. Mi sono formato con il jazz ma ascolto in maniera compulsiva e metodica, anche per motivi professionali, dalla musica classica alle cose etniche, più ricercate, alla musica elettronica, a tutto quello che di bello le mie orecchie riescono a percepire, assorbire e la mia mente metabolizzare. Per suonare quello che facciamo noi ci vuole preparazione musicale e strumentale, entusiasmo, dedizione. È una musica particolarmente complessa ma all’ascolto è molto piacevole perché ritmicamente potente ed è piena di sorpresa. Fortunatamente suono con grandi musicisti da sempre».

Lei è un grande sperimentatore. Come si è evoluto il suo modo di suonare negli anni?

«Non do mai nulla per scontato. Io ogni giorno imparo qualcosa dai miei colleghi: dai veterani che hanno esperienza, una storia da raccontare, ma anche dai più giovani che hanno un istinto naturale sorprendente e che propongo ogni sera cose che ti lasciano a bocca aperta. Quando si è ragazzi devi studiare per raggiungere risultati ed essere competitivo. Questo tipo di competizione, che è tipica dello sport e non della musica, oggi in me è scemata e sento maggiore attrazione per lo studio e per l’arte di apprendere».

In base alla sua lunga esperienza, nazionale e internazionale, cosa si può e cosa si dovrebbe fare per aiutare la musica in Italia? Sei fosse ministro della musica, cosa cambierebbe?

«Io credo che l’Italia in questo momento sotto il profilo musicale e strumentale non sia molto avanti, a livello di altri paesi dove musica e arte sono un elemento fondamentale per la società. Da noi, per la musica, non sentiamo questo rispetto da parte delle istituzioni. Abbiamo grandi talenti, con la difficoltà di esportante la proposta musicale all’estero. Abbiamo grandi musicisti, ma non abbiamo un indotto manageriale e di produzione all’altezza. Quindi è più facile importare musica, artisti americani, mentre persiste la grande difficoltà di portare i nostri artisti all’estero e inserirli nei cartelloni internazionali, nei grandi festival. Non c’è il supporto istituzionale da parte della nostra discografia che è sempre stata molto debole ed esterofila».

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