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LO spettacolo teatrale Terroni è tratto dall’omonimo libro di Pino Aprile. Sul palco la storia dell’Unità d’Italia, di quanto finora taciuto dalla storiografia ufficiale. A metterlo in scena Roberto D’Alessandro, autore, attore e regista calabrese, cresciuto alla Scuola di Gigi Proietti. L’appuntamento è al Rendano di Cosenza domani sera alle 21 e l’1 dicembre al Costabile di Lamezia alle 20,30.

Porta in scena Terroni da un po di tempo, qual è il suo rapporto con questo spettacolo?

«Terroni non è solo uno spettacolo per me, il contenuto prevarica così tanto l’aspetto dello show che me lo fa guardare sempre con occhi diversi. A questo spettacolo e a Pino Aprile, devo un risveglio della mia coscienza, di meridionale ma anche di uomo, è stato come una presa di coscienza di ciò che sono davvero, a cosa appartengo, da dove provengo. Ogni volta che lo rappresento mi commuove e ogni volta avverto l’importanza che ha continuare a rappresentarlo. Quindi è un rapporto viscerale, che mi mette in contatto con una parte ancestrale di me, della mia terra, del popolo a cui appartengo. È un urlo di dolore, ma anche un vagito di qualcosa che nasce».

È stato messo in scena sia al Nord che al Sud? Ci sono differenze nelle reazioni degli spettatori?

«Molta differenza, a nord hanno più rabbia dentro, perché i meridionali che vivono a nord o hanno rinnegato le proprie origini o vivono nella disperazione, come spaccati in due. Quelli che hanno visto lo spettacolo hanno reagito con rabbia, hanno vissuto sulla loro pelle le discriminazioni razziali, sanno che quel che si dice è vero, scoprire una realtà che ribalta la situazione nord – sud gli dà forza. A sud invece la reazione da subito è assente, lo spettatore è come un pugile che perde la guardia e prende i pugni in faccia, è come stordito. Alla lunga però gli lavora dentro, e a distanza di tempo reagisce in maniera anche più violenta che a nord».

Cosa pensa Pino Aprile dello spettacolo?

«Aprile alla prima al Quirino ebbe un comportamento strano, c’è il video in cui sembra quasi dissociarsi dallo spettacolo. Poi mi confidò che a vedere rappresentato quello che lui aveva scritto, ne ebbe quasi paura. Poi lo ha sostenuto in tutti i modi. Terroni lo spettacolo deve tutto ad Aprile, non solo per il testo».

Lei si sente un terrone? Che rapporto ha con la sua terra?

«Io sono un meridionale, anzi mi sento Bruzio, Terrone propriamente significa che viene dalla terra, e certo non sono io. Nella sua accezione che allarga alla provenienza territoriale il termine, io sono terrone al 100%. La mia terra è il ventre in cui sono stato concepito e dalla quale sono nato, gli appartengo e sento il privilegio di essere calabrese».

Lei è originario di Montalto Uffugo, che cosa prova a dover recitare nel teatro di tradizione della città di Cosenza?

«È davvero emozionante per me recitare al Rendano, per di più è la prima volta che mi capita. Con lo spettacolo Terroni poi lo sarà ancora di più. Sapere poi che è stata la città di Cosenza a volerlo, attraverso un suo consigliere comunale Andrea Falbo, e al suo sindaco Mario Occhiuto, mi inorgoglisce e me ne fa sentire anche la responsabilità. Spero di essere all’altezza della situazione! Inoltre la prevendita sta andando benissimo, quindi si profila una sala piena, di mercoledì, fuori stagione, fuori abbonamento…recitare al Rendano sarà meraviglioso!»

Vive a Roma e spesso organizza delle reunion con attori del Sud. Penso a “La notte dei calabresi viventi … a Roma”. Quanto è difficile ancora fare questo mestiere in Calabria?

«Negli ultimi tempi mi piace riunirmi e collaborare e frequentare colleghi calabresi che come me vivono a Roma, è un po come tornare verso la terra. Io vivo a Roma da 30 anni ma sono profondamente calabrese, resterò sempre un calabrese a Roma. Esistono tanti talenti Calabresi che vivono a Roma o altrove, è bello scoprirli, frequentarli, lavorarci inseme! Fare l’attore in Calabria è difficile come fare qualsiasi altro mestiere, vedo che a Cosenza c’è una grande vivacità culturale, forse manca come mi suggeriva un giovane attore Emiliano Lo Feudo, una vera scuola di formazione, ma per quella servirebbero danari pubblici e la vedo difficile!»

Un consiglio per i giovani che vogliono intraprendere questo mestiere. Ci racconta come ha iniziato?

«Appunto un buona scuola e poi l’abnegazione più totale. Ma tanto quella viene da se. Una volta un parrucchiere mentre mi facevo i capelli a Roma, mi confidò che lui una volta faceva l’attore, e io gli chiesi: e poi che è successo? Perché hai smesso? E lui mi rispose: sono guarito! Chi fa l’attore alla fine non avrebbe potuto fare altro. Io ho cominciato con la filodrammatica I Pagliacci a Montalto, poi ho fatto un percorso formativo che mi ha portato a frequentare il laboratorio di arti sceniche di Roma diretto da Proietti e poi da li ho cominciato il mestiere!»

Quali sono i suoi nuovi progetti?

«A gennaio debutterò a fianco di Jannuzzo e Debora Caprioglio in una commedia diretta da Patric Rossi Gastaldi, e poi in primavera il mio nuovo spettacolo “Un calabrese a Roma”. Sto scrivendo una nuova commedia, e porto avanti il laboratorio dei Calabresi a Roma, con cui stiamo formando un’associazione di artisti calabresi, e poi si lavora alla terza edizione del comic off un festival che dirigo».

Tornerà in Calabria con qualche altro spettacolo?

«Tornerò nei primi mesi dell’anno in una rassegna a Rende con lo spettacolo L’Ammazo col gas, molto divertente. Ci siamo ripromessi col sindaco di Montalto Caracciolo che ci saremmo sentiti per parlare del prossimo Festival Leoncavallo, e del concorso lirico, sarebbe bello riavviarlo!».

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