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Il testo di Vincenzo Ziccarelli allestito con un cast di bravi attori calabresi nell’ambito della stagione di prosa

COSENZA – Erano e resteranno per sempre inconciliabili le logiche che guidano la fede e il potere. Perchè fede e potere partono da presupposti troppo distanti e diversi. E lo scontro è inevitabile ed è destinato a rimanere irrisolto. Lo aveva capito Vincenzo Ziccarelli, drammaturgo cosentino scomparso giusto tre anni fa e che su queste posizioni tanto distanti modellò la trama del suo testo più famoso, “Francesco e il Re”, andato in scena, con la regia di Adriana Toman, al teatro Alfonso Rendano a Cosenza nell’ambito della stagione di prosa.

È lo scontro tra San Francesco di Paola e re Luigi XI, che continua ad appassionare, a coinvolgere, anche a distanza di quasi quarant’anni dal debutto, avvenuto nel 1978 con Nando Gazzolo e Salvatore Puntillo e che peccato non aver visto a Cosenza la versione dei primi anni del Duemila con Philippe Leroy e Ugo Pagliai diretti da Geppy Gleijeses, prodotta dal Teatro Quirino.

Al Rendano, dopo un piccolo tour per i teatri calabresi (compreso il Morelli, ancora a Cosenza), arriva questa versione in cui la prima cosa che emerge è la bravura degli attori. Tutti calabresi, quasi tutti con un pezzo di passato condiviso con l’autore, tutti azzeccati nei loro ruolo, a iniziare dai due protagonisti, Giovanni Turco e Marco Silani. Il primo è un Francesco sempre sul confine tra l’umilissimo e il perentorio (come lo definisce la tradizione cristiana); l’altro è un re al culmine del suo potere ma agonizzante per una malattia che lo porterà alla morte. Proprio quella della morte è una scena commovente, col re che si addormenta tra le braccia del santo, nemmeno un po’ rassegnato dal fatto che nulla si è potuto fare per rendergli salva la vita. Che bravo poi Natale Filice, nella piccola parte di Papa Sisto IV, che bravo Antonio Conti nel ruolo di Ferrante d’Aragona il re davanti al quale, come vuole la tradizione, Francesco spezzò una moneta dalla quale uscì il sangue dei sudditi. Paolo Mauro è un De Bussieres devoto ed elegante, Francesco Aiello il medico di corte Coitier sospeso tra l’impotenza e la paura, Alessandra Chiarello rende bene prima la disperazione della donna calabrese che chiede aiuto al Santo in partenza e poi alla dama di corte all’apparenza snob e distratta ma pronta ad avvelenare il re. La citazione la meritano tutta anche le musiche e i bei costumi di Manù e Roccanova.

La regia di Adriana Toman (VIDEO: GUARDA L’INTERVISTA) punta a mettere in risalto il testo e il talento attoriale e ci riesce. Indovinata anche la scelta di rendere solo in voce la presenza del diavolo tentatore, abbinandola a qualche effetto video. Convince meno il ricorso alla sigla iniziale che sembra strizzare l’occhio al cinema di fantascienza. Nel complesso però è una regia che ha confermato di conoscere bene non solo il testo e le sue pieghe, ma anche il pensiero di un autore che bisognerebbe tenere sempre vivo tra le produzioni delle compagnie calabresi e nelle stagioni di prosa dei teatri di questa regione.

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