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Luigi de Filippo e Vincenzo De Luca durante una scena

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Lo spettacolo ha fatto registrare un doppio sold out. In scena Luigi De Filippo

COSENZA – L’ultimo dei De Filippo propone il capolavoro di Eduardo “Natale in casa Cupiello” al Rendano, e quando il sipario si chiude si ha la sensazione che anche un’epoca si sia definitivamente chiusa. Irripetibile. Esaltante. Gloriosa per Napoli e il teatro italiano. Storia. Storia vera. Mestiere e tradizione artigianale passato da padre in figlio, il meglio della produzione di famiglia riletto e riproposto quasi a novant’anni dal debutto.

Sarà per questo che l’amaro in bocca che rimane alla fine forse non è solo per la vicenda di Lucariello e dei suoi familiari. C’è altro, come la percezione di essere testimone di un evento in qualche maniera, anche questo, irripetibile e definitivo. All’interno e all’esterno del palco.

Sul palco Lucariello 90 anni dopo non ha più il volto scafato tipico di Eduardo ma lo sguardo sornione e bonario di Luigi, un capocomico che a 86 anni resta aggrappato al mestiere con tutta la passione del mondo. A fine spettacolo resta sul palco, seduto su una sedia, parla col pubblico, spiega le sue scelte, ricorda “Zio Eduardo”, somiglia ai nonni di una volta che si intrattenevano coi nipotini davanti al caminetto, quasi come se volesse ritardare il più possibile il saluto a una città che lo ha sempre accolto con grande affetto e, in questo caso, anche con un doppio sold out.

In scena non perde una battuta, è sempre presente a se stesso, sempre sul pezzo. Il fisico lo limita, però, a Cosenza la mobilità è penalizzata da un problema a una gamba, se fosse una partita di calcio si direbbe che lui sta fermo e che gli altri sono costretti a correre per lui. E questa situazione non può che riflettersi sull’intera messinscena e va ad appesantire un contesto di scelte registiche già discutibili. Lucariello non può essere in scena al primo atto, quando Ninuccia litiga con la madre: hai voglia a dire che sta concentrato sul presepe, non può e non deve ascoltare la vicenda centrale del dramma, si rischia di rendere inutile tutto il resto. Certo, la sofferenza dell’attore attrae ulteriore simpatia e commozione nei confronti di Lucariello soprattutto nel terzo atto ma non basta. Anche perchè il testo corre, anche troppo, le pause e l’atmosfera cupa tipiche del primo atto sono state volutamente cancellate e il risultato lascia qualche perplessità. Perplessità anche per un ambientazione non troppo natalizia, non c’è nulla che richiami al Natale, se non il presepe (e ci mancherebbe…) e il “Tu scendi dalle stelle” lasciato in sottofondo al pubblico a sipario chiuso.

Le conferme invece arrivano dagli attori della compagnia, già ammirati e apprezzati più volte in questi anni in Calabria. Da questo punto di vista, il lavoro fatto nel tempo da De Filippo, è veramente straordinario. Tutti calati perfettamente nella parte. Paolo Pietrantonio è un Nicolino convincente a cui è stato dato un tocco di presunzione e arroganza fin qui inedite; Vincenzo De Luca è un Tommasino azzeccato, “mariuolo” tanto marcato però da non capire cos’abbia in comune con Vittorio Elia (Ferdinando Maddaloni), l’amante di Ninuccia, presentato come amico ma costruito con un’eleganza e una classe troppo distante. Bene anche Massimo Pagano (Pasquale), Claudia Balsamo (Ninuccia) e Stefania Ventura (Concetta). Lo spettacolo è aperto e chiuso da un prologo e da una morale: Luigi De Filippo li affida a Luca Negroni, che interpreta il dottore. È la spiegazione (forse superflua) di un testo che resta vitale e interessante, che tocca tanti spunti, diverte e appassiona e che senz’altro merita di essere proposto e fatto apprezzare anche dai più giovani.

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