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Dopo il sesto posto a Rio, il tuffatore cosentino è tornato per qualche giorno nella sua Cosenza

COSENZA – Il figlio più amato, quello più bello, torna a casa dopo l’impresa, anche se soltanto per un giorno: Giovanni Tocci, 22 anni per la prima volta alla piscina di Campagnano da olimpionico, lì dov’è cresciuto e dove ci porta, ci guida, da Cicerone navigato, prima di concederci un’intervista post-Rio che ha il sapore del sogno ancora fresco. L’amore per questo sport è ben visibile negli occhi di un ragazzo che, appena rientrato dal Brasile, non ha potuto dimenticarsi della sua vecchia dimora, quella che lo ha accudito per anni e nella quale, ancora oggi, si allena in modo appassionato e costante insieme al suo compagno di avventure, Andrea Chiarabini, classe ‘95, col quale forma la più canonica delle coppie, tanto da sembrare usciti da un film: più riflessivo e maturo il cosentino, più allegro e scanzonato il romano, che sta anche cercando di imparare il dialetto bruzio nel corso sua permanenza all’ombra del Castello.

«Sì, il più normale dei due sono io – confida Giovanni a bordovasca – Andrea è completamente esaltato. Ma anche Gabriele (Auber, altro tuffatore in vacanza con loro a Soverato, ndr) non è completamente lucido. Diciamo che a livello di sanità mentale sono messo male in mezzo a questi due…».

Fra le tante battute lette sui social network in questi giorni di Olimpiadi, una delle più gettonate chiedeva se i cinesi nascessero direttamente dal trampolino dei tre metri. È stato così anche per te?

«La passione per gli sport acquatici è nata nei miei primi anni di vita: ero piccolo e, quando andavo a mare con la famiglia, pur non sapendo nuotare ero abbastanza spericolato. Fu allora che i miei genitori, preoccupati, ma anche incuriositi dalle mie propensioni, mi hanno portato in questa piscina. Con i tuffi è stato amore quando avevo quattro anni e questo tipo di specialità aveva da poco aperto i battenti a Cosenza, per cui con Gaetano Aceti, mio primo allenatore, decisi di abbracciarla: lo ringrazierò sempre perché mi ha spinto a fare la scelta giusta, insieme ad Oscar Bertone e Liuba Barsukova (allenatori della Nazionale, ndr) è stata una figura di riferimento per me. Fino agli otto anni ho solo svolto allenamenti, poi ho iniziato le gare… Ed eccomi qua»

Ripercorriamo la tua carriera: cinque ori, un argento e un bronzo negli Europei Giovanili, poi il salto nei grandi e l’argento a Londra nella rassegna continentale del maggio scorso. Non si può dire che tu sia uno non avvezzo al podio…

«Non posso però neanche negare che il passaggio nei senior sia stato più duro del previsto: abituato a stare in alto non sopportavo di vedermi nella parte bassa delle classifiche, era difficile affrontare gli allenamenti con la stessa volontà. Ne sono uscito grazie al supporto degli amici, della società e dei miei genitori, che mi hanno aiutato a risalire la china e ad arrivare a quell’argento splendido. Certo, se dovessimo dirla tutta, non sarebbe toccato neanche a me salire sul trampolino».

Perché?

«Perché quella era la gara di Chiarabini, solo che un dolore alla schiena gli ha impedito di partecipare ed è dovuto rientrare a Roma, mentre io avevo già partecipato alla gara del trampolino dal metro, la mia specialità, arrivando sesto; l’allenatore mi ha poi proposto di sostituire Andrea, ovviamente ho acconsentito, ma le eliminatorie sembravano condannarmi, non riuscivo a stare sereno. Nella seconda metà di gara ho risalito la china e sono arrivato in finale, e lì ho conquistato l’argento soprattutto per effetto degli ultimi tre tuffi».

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Il rientro da Londra, l’abbraccio di Arcavacata e l’affetto di una città tutta: che sensazioni hai provato?

«Fantastico. Tutti chiedevano foto, soprattutto i più piccoli, e la cosa mi ha riempito il cuore di gioia, così com’è stata meravigliosa l’accoglienza che mi hanno riservato a Campagnano, che è la mia seconda casa; la festa ad Arcavacata è stata stupenda, devo ringraziare Giuseppe Garofalo che ha organizzato l’evento in ogni dettaglio: vedere i miei compaesani assiepati sotto un palco per me era un qualcosa di inimmaginabile».

Dopo la festa, di nuovo sotto con gli allenamenti per prepararsi al grande evento. Road to Rio, insomma.

«Non dimenticherò mai il giorno in cui con Andrea Chiarabini ci siamo qualificati nel sincro per le Olimpiadi, è stata un’emozione più forte anche dell’argento a Londra, almeno a livello personale. Subito dopo gli Europei, però, il mio compagno ha avuto un po’ di problemi e non sapevamo se si fosse ripreso, quindi c’è stata un po’ d’ansia che è svanita non appena la fisioterapia ha iniziato a fare effetto. Prima di andare a Rio abbiamo fatto degli allenamenti collegiali in Croazia, un’esperienza che porterò sempre nel cuore perché sembravamo davvero un’unica, grande famiglia».

L’arrivo in Brasile, la cerimonia, le medaglie di Tania Cagnotto: cos’hanno significato questi tre momenti?

«Siamo arrivati lì una settimana prima dell’inizio dei giochi, eravamo pochissimi atleti e non sembrava neanche di essere ad un’Olimpiade. Poi però c’è stata la cerimonia d’apertura e già indossare i vestiti forniti da Armani per me è stato emozionante, ma entrare nel Maracanà stracolmo… Un’emozione che non è duplicabile. La gara di Tania e Francesca mi ha tenuto in tensione: un risultato così era importante non solo per loro, ma per tutto il settore tuffistico italiano al quale hanno dato tanto, e la batosta di Londra (Cagnotto e Dallapé arrivarono ad un passo dal podio, ndr) credo sia servita, visto che da lì in poi non hanno sbagliato praticamente più nulla e hanno vinto una medaglia che vale oro, sono state le prime delle umane. E sì, lo ammetto, ho pianto di gioia, sarà stato anche per scaricare la tensione in vista della nostra finale, ma mi sono commosso fortemente».

Passano i giorni, arriva la tua gara, la vostra gara

«La mattina della finale abbiamo fatto un allenamento tranquillo, tutto nella norma, se escludiamo il colorito verdino dell’acqua… Alle 16 (ora brasiliana, 21 italiana, ndr) abbiamo gareggiato: è difficile descrivere quelle sensazioni, bisognerebbe essere lì per comprendere. Ho deciso di godermi ogni istante senza l’assillo della competizione, dovevo vivere le mie emozioni; certo, il quarto tuffo ci ha un po’ penalizzati e non siamo riusciti a recuperare, ma la qualificazione alle World Series è stata una consolazione dolcissima».

Quanto ha inciso, nella buona riuscita della gara, il tuo rapporto con Andrea, compagno di tuffi e, mi pare di capire, di un’intera carriera?

«Tantissimo, praticamente è come se fossimo cresciuti insieme. Siamo stati avversari, poi abbiamo gareggiato in coppia per un lungo periodo e ci siamo separati quando lui ha avuto problemi alla schiena: da quel momento ho fatto tandem con Auser (un bronzo e un oro europeo giovanili insieme, ndr) e con Andrea Spilli, prima di ricongiungermi a Chiarabini agli Europei di Rostock, un anno e mezzo fa. Da lì in poi abbiamo raccolto un oro in una gara internazione a Bolzano, ci siamo qualificati ai mondiali, poi alla Coppa del Mondo e infine alle Olimpiadi, in un crescendo faticoso ma più che soddisfacente. Certo, essere amici fuori migliore l’affinità sul trampolino, dato che una relazione stretta permette di essere chiari in ogni momento».

È stata la prima Olimpiade social della storia, e da questo punto di vista, tra la foto con Cagnotto, Dallapé e Chiarabini (pubblicata dalla Gazzetta dello Sport, ndr) e il selfie con le canadesi, ti sei elevato al rango di protagonista.

«Sì, mi sono mantenuto attivo… (ride, ndr). La foto con Tania, Andrea e Francesca nasce a pranzo: stavamo mangiando insieme e ci siamo resi conto di essere le due coppie che rappresentavano l’Italia nel sincro, ma volevamo che fosse un’istantanea diversa dalle solite, così è venuta fuori l’idea di prendere in braccio le ragazze e farci immortalare ai lati dello stemma olimpico, scelta felice. I selfie con la Abel e con Daley, invece, sono dettati dal fatto che la cerchia dei tuffatori è ristretta, ma resta sempre un onore essere fotografati con atleti di un certo calibro come gli ultimi due che ho nominato».

Tocci e i suoi progetti futuri, a partire dalle World Series.

«Tokyo sarà il primo pensiero alla ripresa degli allenamenti, l’esperienza di Rio è stata troppo bella per non volerla ripetere. Certo ci sarà da lavorare, e speriamo che Cosenza possa diventare un centro importante in vista dell’eventuale Olimpiade di Roma 2024: la piscina esterna è perfetta ma, nei mesi invernali, è ovviamente impraticabile, per cui ci dovrà essere impegno nel rimodernare la struttura interna, compresa la palestra, troppo piccola. Le World Series (competizione riservata, nel sincro, alle prime sei coppie classificate alle Olimpiadi e distribuita in sei Nazioni, ndr) le vivremo con la voglia e l’impegno che ci contraddistinguono, così come faremo per il Mondiale, nel quale vogliamo riconfermarci. L’essenziale, per la nostra carriera, sarà non pensare a Rio come un punto d’arrivo, ma come uno start per mirare più in alto».

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