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Un'imbarcazione utilizzata per uno sbarco nel Catanzarese

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È l’alba del 21 ottobre quando i carabinieri di Bianco vedono due persone bagnate camminare ai margini della 106. Alla richiesta di documenti farfugliano parole in diverse lingue. Basta poco per capire che sono gli scafisti di uno dei tanti sbarchi che in questo autunno si susseguono in Calabria. Scatta il fermo.

Anche questa volta sono ucraini. Sono 418 gli ucraini arrestati dal 2014 ad oggi in Grecia e Italia per sbarchi clandestini di migranti. Sono la manovalanza più numerosa al soldo di un’organizzazione internazionale turca che gestisce il lucroso traffico di uomini, donne e bambini. Sembra una novità ma invece la questione va avanti da diversi anni.

Distratta dalle vicende dei porti chiusi e dalle Ong, l’opinione pubblica non ha percezione della rotta della speranza che viene da Est di migranti in fuga dai conflitti asiatici. L’intensificarsi degli sbarchi tra Crotone (la foto dei poliziotti che salvano i bambini dai naufragi ha   almeno acceso nuovi riflettori) e la Costa Jonica reggina ci restituisce nuovi aspetti di un fenomeno criminale difficile da sgominare.

Da tempo le procure antimafia di Catanzaro e Reggio Calabria indagano sul traffico di uomini acquisendo numerose informazioni. Due rogatorie internazionali sono state spedite in Grecia e Turchia, ma dove governa Erdogan la collaborazione non è tra quelle più esemplari. Oltre che dalla Calabria un prezioso lavoro investigativo è giunto dal pool di magistrati che tra Catania, Bari e Genova ha ricostruito i fili della ramificata organizzazione che tra il 2018 e il 2020 avrebbe trasportato 4 mila migranti dalla Turchia alle coste calabresi, della Puglia e della Sicilia orientale per un giro di affari calcolato dall’Espresso in dieci milioni di euro. 

Gli skipper sono ucraini o moldavi. Le barche a vela, rubate o noleggiate, trasportano da 30 a 60 migranti per volta.  Lo Sco di Roma ha identificato una parte della rete terminale italiana. Un iracheno e un afgano gestivano lo smistamento dei migranti offrendo la logistica per farli espatriare in Germania e Francia. Acciuffati anche complici italiani che fornivano documentazioni false ai migranti. Ma sono tutti pesci piccoli. 

Ci sono 150 investigatori che da oltre un anno danno la caccia al vertice dell’organizzazione ipotizzato ad Ankara. Dispongono di ingenti capitali e di un sistema di pagamento impermeabile ai tracciamenti. Anche qui difficile avere la collaborazione della polizia di Erdogan.

Le tracce del traffico non sono sfuggite ai cronisti più attenti che hanno rintracciato diversi riscontri sulla rotta dell’Est solcati da skipper che spesso provengono dalla Marina militare ucraina e che vengono assoldati con inganni e reclutati anche su Facebook.

La mail pubblicata da Il Quotidiano

Nel settembre del 2018, Antonio Anastasi, sul nostro Quotidiano, ha pubblicato il contenuto di una mail in cirillico, ricevuta da un detenuto ucraino arrestato per uno sbarco in Calabria, in cui una fonte anonima spiega diversi dettagli organizzativi. Gli inquirenti hanno a disposizioni nomi e numeri di telefono. L’anonimo, un esperto di marina ucraino, riferisce di essere stato contattato da Serghei M per lavorare come capitano di una barca a vela. Arrivato a Marmaris in Turchia (uno sbarco in Calabria dell’agosto di quest’anno in cui sono stati arrestati 4 scafisti turchi e ucraini proveniva proprio da questo porto) si svela l’arcano. L’arruolato deve fare formazione per barca a vela, come rompere il motore a largo per farsi soccorrere, tecniche di navigazione. Scrive la gola profonda “Ritengo che tali azioni illegali devono essere fermate”. 

Più recente il riscontro trovato da Annalisa Camilli per “L’Essenziale”. La giornalista ha rintracciato un marinaio ucraino fuggito dal suo paese per evitare di combattere la guerra contro la Russia. Le ha raccontato le stesse modalità di reclutamento descritte dalla mail pubblicata dal nostro giornale.

A Sebastopoli tre ucraini e due turchi gli propongono di gestire tour in barca a vela per turisti. In Turchia i turisti sono migranti. Il compenso è di 500 euro a persona. Il marinaio finirà in carcere in Italia senza compenso. Scontata la pena oggi fa lo skipper in Sicilia per i turisti, quelli veri. I fatti risalgono al 2014. Sono passati sette anni. 

In effetti la Rotta dell’Est gestita dalla mafia turca è più antica. Era quella del traffico di sigarette che sbarcava “bionde” tra Calabria e Puglia. Commercio ormai defunto. Ma anche quella dei migranti è rotta antica. Iniziò con i curdi negli anni Novanta. In un pdf di vecchia generazione dell’Unione Europea si legge di tre sodalizi criminali che ad Instanbul “avevano istituito una centrale operativa con struttura logistica” collegata a ramificazioni nazionali in Grecia, Pakistan, Albania, e paesi dell’ex Unione Sovietica.

L’emergenza diventata visibile in questi ultimi mesi in Calabria era ben chiara a chi opera in mare sul fronte del soccorso. Già nel giugno di quest’anno, il tenente colonnello Alberto Catone, comandante del reparto operativo aeronavale della Guardia di Finanza di Vibo in un’intervista ad Avvenire mostrava idee chiare sulla dinamica del traffico di uomini e del suo crescente aumento. 

Gli sbarchi in Calabria avvengono in larga parte con barche a vela, raramente piccoli yacht, che poi vengono abbandonati sulla nostra costa. A volte si fa scalo a Creta o in altri porti greci. Gli scafisti ucraini pare che siano diminuiti. Aumentano rumeni e moldavi. Non è chiaro se operano navi madre. I velieri partono spesso da porti turchi. Oltre che da Marmaris, anche da Canakkele o Babakele Bodrum. La missione in marzo del rappresentante dell’Unione Europea, lo slovacco Drahoslav Stefanek a Cannakele e Ankara non ha sortito grandi risultati. Gli scafisti quando sono in alto mare spesso chiamano le autorità italiane e chiedono soccorso. Poi danneggiano   motori e timoni per giustificare l’Sos. Oppure arrivano direttamente sulle spiagge sperando di potersi dileguare. 

La crisi afgana ha fatto aumentare i profughi che provengono dal paese dei Talebani. Molti i minori e i bambini. Raggiungono con ogni mezzo la Turchia e poi si imbarcano a caro prezzo. Ad ottobre la questione è esplosa nella sua drammatica visibilità in Calabria. In 1300 sbarcati in tre giorni tra Roccella Jonica e Crotone. Sono oltre 6000 nel corso dell’anno. In meno di cinque mesi nella Locride sono stati 49 gli approdi, di cui 43 a Roccella. L’ultimo l’altra notte a Punta Stilo, Una barca a vela piena di afgani e pakistani. Altri ne arriveranno. La mafia turca continuerà a far soldi. 

Nel 2019 il Rapporto annuale sul traffico di esseri umani pubblicato dal Dipartimento di Stato di Washington segnalava che “l’Italia ha diminuito le indagini sulla tratta”. Speriamo non sia vero.

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