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Uomini della Direzione investigativa antimafia

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È la Calabria, con 108 interdittive antimafia, la regione più colpita dall’infiltrazione mafiosa nell’economia (GUARDA LA CARTINA IN FONDO ALL’ARTICOLO). È il dato che emerge scorrendo la relazione della Direzione investigativa antimafia sul primo semestre del 2020. La seconda regione in questa triste classifica è la Campania, con 51 interdittive, terza la Sicilia con 45. La ‘ndrangheta, dunque, nonostante la Calabria sia una regione più piccola rispetto a Calabria e Sicilia, s’infiltra nel tessuto economico più di camorra e Cosa nostra. Ma questo dato è da aggiungere a quello della Lombardia – in quarta posizione con 33 interdittive nel primo semestre 2020, ma è anche la regione più colpita al Nord. È appena il caso di rilevare che gli analisti documentano l’operatività in Lombardia di 25 “locali” di ‘ndrangheta (ma sono in tutto 46 quelli operanti al Nord). E proprio ai rischi di infiltrazione mafiosa nell’economia legale, specie nel settore sanitario, in tempi di pandemia, è dedicato un focus nel quale sono prospettati gli sviluppi futuri.

Per esempio, sono ipotizzabili «importanti investimenti criminali» nelle società operanti nel cosiddetto ciclo della sanità, siano esse attive «nella costruzione e ristrutturazione di insediamenti ospedalieri, nella produzione e distribuzione di apparati tecnologici, di equipaggiamenti e di prodotti medicali, nonché nello smaltimento di rifiuti speciali, nella sanificazione ambientale e nei servizi cimiteriali e di onoranze funebri a causa della alta mortalità connessa alla pandemia da coronavirus che sta subendo l’Italia ed il mondo».

Pertanto «bisognerà aver cura di monitorare con massima attenzione eventuali variazioni dell’oggetto sociale, trasformazioni societarie, cessioni o acquisizioni di rami d’azienda, modifiche nelle cariche sociali, trasferimenti di sedi ed altro, di tutte le aziende che vogliono partecipare a bandi pubblici in tale settore verificando che si tratti di dinamiche effettive e “sane” e non finalizzate a celare la possibile evoluzione mafiosa delle imprese». È, infatti, «oltremodo probabile che i sodalizi tentino di intercettare i nuovi canali di finanziamento che saranno posti a disposizione per la realizzazione e il potenziamento di grandi opere e infrastrutture, anche digitali (la rete viaria, le opere di contenimento del rischio idro-geologico, le reti di collegamento telematico, le opere necessarie per una generale riconversione alla green economy, il cosiddetto ciclo del cemento)».

Che fare, dunque, a fronte della «più unica che rara crisi in atto?». «Il ricorso a procedure che rendano più celeri gli affidamenti e le realizzazioni degli appalti e dei servizi pubblici deve essere accompagnato dall’attento e rapido monitoraggio antimafia. In tal modo, si andrà da un lato a favorire la rapida assegnazione delle risorse e la conseguente ultimazione delle opere per alimentare il ciclo virtuoso dell’economia, dall’altro a scongiurare il rischio dell’infiltrazione mafiosa nel settore», è il monito degli 007. La speditezza degli iter dovrà ovviamente muoversi prevedendo la completa digitalizzazione delle gare, che oltre a velocizzare i conferimenti garantirà maggiore trasparenza.

Dall’analisi numerica delle istruttorie chiuse con esito positivo nel periodo del lockdown (dall’8 marzo al 15 maggio 2020) ed in quello più ampio che lo ricomprende (dall’8 marzo al 31 ottobre 2020), confrontata con quella relativa agli analoghi intervalli temporali del 2019, è peraltro emerso un incremento di 64 istruttorie chiuse con esito positivo, pari al + 18,50% rispetto all’anno precedente. Insomma, c’è «una maggiore attenzione degli organi competenti nel fronteggiare una chiara tendenza al rialzo dei tentativi di infiltrazione mafiosa in una economia in seria difficoltà a causa dell’emergenza sanitaria». Ma gli analisti si sono posti anche il problema di come non paralizzare l’economia ed evitare il blocco degli appalti. «Gli attori istituzionali preposti hanno la possibilità e il dovere di graduare il loro intervento per recidere o correggere il fattore che dà adito al sospetto collegamento mafioso evitando di adottare provvedimenti oltremodo afflittivi». A parte le misure di prevenzione “classiche” come sequestri e confische, la Dia osserva che «i Tribunali possono anticipare ancora più la soglia di intervento e ricorrere a procedure volte a rimuovere l’elemento rivelatore di situazioni sospette».

Gli strumenti normativi già ci sono e i riferimenti sono all’articolo 34 bis del Codice degli Appalti, che prevede il controllo giudiziario qualora l’agevolazione mafiosa risulti episodica o sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo d’infiltrazione mafiosa. Nella circostanza, suggeriscono gli specialisti della Dia, si potrebbe «valutare la possibilità di attribuire al prefetto il potere di imporre prescrizioni al soggetto economico interessato per eliminare l’eventuale rischio di inquinamento».

Ad esempio, il prefetto potrebbe imporre per il singolo appalto un conto corrente bancario unico per la gestione delle entrate e delle uscite monitorato dalla Prefettura che, così, potrebbe controllare le movimentazioni bancarie e tutti i fornitori ed i relativi pagamenti. Ma il riferimento è anche a tutta «un’architettura di prevenzione avanzata unica nel panorama internazionale» affinata nel tempo grazie alla «duplice consapevolezza di dover contrastare il fenomeno mafioso in tutte le sue espressioni salvaguardando l’efficacia dell’intervento in economia dello Stato e degli enti pubblici». In sostanza, si tratta delle Misure di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione che il prefetto può adottare d’iniziativa a carico di un’impresa interdetta.

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