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Rapporto nazionale di alcune associazioni evidenziano le irregolarità: strutture in locali inadeguati, assunzioni clientelari e senza professionalità, gestione “allegra” dei fondi

di SAVERIO PUCCIO

CATANZARO – C’è poca trasparenza sui 3.090 Centri di accoglienza straordinaria (Cas) presenti sul territorio nazionale, che ospitano il 72% dei richiedenti asilo presenti in Italia e, dunque, costituiscono una parte preponderante delle strutture di accoglienza dei migranti.

La denuncia arriva nell’ambito della campagna “InCAStrati”, promossa da Cittadinanzattiva, LasciateCIEntrare e Libera, che oggi ha presentato alla stampa un rapporto. E molto di tutto questo si verifica in Calabria, regione in prima linea nell’accoglienza di migranti. Ed infatti, nella lista nera dell’associazione, c’è proprio la nostra regione insieme a Sicilia e Campania.

Le associazioni denunciano che non esiste neppure un elenco pubblico dei Cas, della loro ubicazione, di chi le gestisce. Non vi è trasparenza sugli affidamenti, sui finanziamenti, sul rispetto degli standard di erogazione dei servizi previsti da convenzioni e capitolati d’appalto.

Miniere d’oro, dunque, per quanti intendano lucrare sulla condizione degli immigrati. Condizioni aggravate dal fatto che i controlli sono ridotti ai minimi termini, con provvedimenti di diffida quando si riscontrano irregolarità che poi, nei fatti, non producono alcun risultato nel regolamentare gli stessi centri.

«Tra gennaio 2015 e dicembre 2016 abbiamo visitato 50 Cas nelle regioni Campania, Calabria e Sicilia – hanno spiegato le associazioni – e il quadro che ne è emerso è complessivamente scoraggiante. Diversi, anzitutto, i casi di strutture improvvisate, come gli hotel, i ristoranti, i vecchi casolari convertiti in centri di accoglienza. Gli staff risultano spesso impreparati a gestire il fenomeno complesso dell’accoglienza: operatori insufficienti, che non conoscono neppure l’inglese, sprovvisti di formazione in materia di protezione internazionale. L’assenza di assistenza adeguata e di percorsi di inclusione è fonte di frequenti casi di depressione o di ingresso dei migranti nei circuiti del caporalato, del lavoro nero, dello spaccio e della prostituzione».

Le denunce del rapporto sono chiare: «Diverse, soprattutto al Sud, le strutture lontanissime dai centri abitati e i Cas situati in zone ad altissima criticità sociale».

E nei tanti centri aperti in Calabria la situazione appare drammatica. Strutture inidonee, immigrati costretti spesso a vivere in condizioni lontane da quelle previste dai regolamenti ma, soprattutto, un business senza controllo tra assunzioni di favore e fondi gestiti senza regole. Il risultato finale è uno sperpero di denaro pubblico, ma anche una politica clientelare a favore di personale chiamato a gestire situazioni per le quali non hanno alcun tipo di formazione.

 

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