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CATANZARO – Ora che il mese forse più assurdo e difficile per la sanità calabrese sembrava essere stato superato, con la vicenda del commissariamento che finalmente ha trovato la sua conclusione con l’assegnazione dell’incarico al prefetto in pensione Guido Longo, arriva, come una doccia fredda, l’analisi della Corte dei conti calabrese che, di fatto, dimostra come 11 anni di commissariamento non abbiamo fatto altro che peggiorare una situazione già di per sé drammatica.

Nella relazione redatta dal magistrato Stefania Anna Dorigo nel corso della teleconferenza della Corte dei Conti sul Giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Calabria, infatti, si evidenzia come per l’esercizio finanziario 2019: «Il deficit sanitario a cui dare copertura si è ridotto in valore assoluto di soli 6,291 milioni di euro circa (passando da 104,304 milioni al 31.12.2009 a € 98,013 milioni al 31.12.2019)».

Sei milioni di euro in dieci anni, ossia una media di 600 mila euro di riduzione del debito ogni anno. Inoltre, «è bene ricordare che in questi dieci anni – scrive il magistrato contabile – i cittadini calabresi hanno continuato a finanziarie copiosamente la sanità, con il versamento delle extra aliquote Irap e Irpef, extra tributi finalizzati a ripianare i disavanzi che via via si manifestavano».

Riduzione che, tra l’altro, vale solo se si considera che il reale disavanzo dell’anno 2019, che ammonta a 160,609 mln di euro, «Secondo il Tavolo tecnico che monitora il piano di rientro, questo dato potrebbe ridursi a 98,013 mln di euro tenendo conto del possibile stralcio di alcuni crediti oggetto di svalutazione».

In sostanza, dunque, secondo l’elaborazione della Corte dei conti, «gli abitanti della Calabria stanno da dieci anni colmando una voragine finanziaria che cresce e si alimenta di anno in anno. A fronte di questi ‘sacrifici finanziari’, i medesimi cittadini non godono però di servizi sanitari adeguati. Rammento – ha ricordato Dorigo – che i Livelli Essenziali Assistenziali (Lea) sono giudicati adeguati quando raggiungono un punteggio di 160 o un livello compreso fra 140 e 160 in assenza di criticità. Ebbene, dopo molti anni, solo nel 2018 la Regione Calabria parrebbe aver raggiunto un punteggio complessivo adeguato (162), che comunque tradisce ancora numerose anomalie, come screening oncologici inadeguati e scarsità di posti letto».

Traducendo in parole povere, quindi, se, malgrado tutte le tasse, le imposte, le addizionali e le ulteriori maggiorazioni varie che i calabresi sono stati progressivamente chiamati a pagare, il debito è sceso di poco più di 6 milioni di euro in valore assoluto vuol dire che la Sanità in Calabria continua ad essere una vera e propria voragine e i commissari che si sono succeduti, che, è bene ricordarlo, erano stati chiamati quale compito originario a risanare proprio gli aspetti finanziari del settore, malgrado 18 ospedali chiusi, blocco del turn over e tagli indiscriminati non hanno raggiunto alcun obiettivo significativo consegnando all’emergenza pandemica del Coronavirus Covid-19 una sanità già “in terapia intensiva”.

Un esempio della gestione “anomala” della sanità calabrese, per la Corte dei conti, risiede nella gestione dei contenziosi: «Le Aziende Sanitarie della Regione hanno pagato, per interessi e spese legali – scrive il presidente della sezione Calabria, Vincenzo Lo Presti – nell’esercizio 2018, la somma di oltre 23 milioni di EURO, nell’esercizio 2019, la somma di oltre 32 milioni di EURO. Appare evidente, che, se i pagamenti fossero stati tempestivi, tali somme, complessivamente oltre 55 milioni di EURO, avrebbero potuto, essere destinate a incrementare le prestazioni sanitarie piuttosto che, come avvenuto, a compensare i creditori, per il ritardo nel pagamento dei loro crediti».

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