X
<
>

Nicola Gratteri e Agostino Cordova

Condividi:
4 minuti per la lettura

LA MASSOMAFIA calabrese non esce mai di scena. Danna i massoni autentici e sfugge alle comprensioni. Ultima citazione di rango l’audizione del commissario calabrese alla Sanità, Longo (un superpoliziotto), in Commissione antimafia.

Massomafia, una sorta di Spectre che mescola colletti bianchi e ‘ndranghetisti, Calabria e opulento Nord. Sono antri neri di poteri legali e illegali difficili da scrutare.

Due magistrati, in Calabria in epoche diverse, hanno combattuto la piovra santa paramassonica finendo sotto i riflettori per aver forzato la loro battaglia contro l’illegalità istituzionalizzata. Solitari e determinati. Capotoste di Calabria.

Nicola Gratteri non ha bisogno di presentazioni. Osannato dai media nazionali, insignito di cittadinanze onorarie, scrittore di successo, sorta di Falcone dei tempi postmoderni, fermato sulla soglia dello scranno di Guardasigilli da Napolitano, architetto del maxiprocesso Rinascita Scott che non riesce a far eguagliare a quello di Palermo perché la Calabria è un’isola mentale mentre la Sicilia del tempo faceva notizia internazionale anche per immaginari legati al cinema e alla letteratura.

Calabrese di Gerace, nella Locride. Compagno di scuola di tanti coetanei che arresta (come Falcone). Inviso a garantisti autentici e interessati. Ha condizionato le precedenti elezioni regionali con provvedimenti repressivi dei due Mario scesi in campo per destra e sinistra con esiti giudiziari a volte discutibili. Uno zar giustizialista. Scrupoloso e attento ad ogni dettaglio, ultimamente è finito nel mirino dei veleni per uno 007 in visita al ministero degli Esteri e anche per una prefazione ad un libro no vax di un collega che non aveva letto come si legge un’ordinanza di carcerazione.

Ai più giovani spetta invece ricordare chi era Agostino Cordova. Nasce a Reggio Calabria nel 1936. Calabrese come Gratteri. Nella stessa città inizia da pretore. Diventa giudice istruttore e costruisce il primo maxiprocesso alla ‘ndrangheta. Alla sbarra De Stefano, Mammoliti e Piromalli. Nessuno più lo ricorda. Diventa procuratore a Palmi, il Tribunale della Piana di Gioia Tauro. Torturando un sigaro avvia inchieste sull’Enel che si intrecciano con i grandi scandali nazionali, manda i carabinieri a sequestrare facsimili di candidati nelle case dei picciotti, scova un conto protetto a Palmi che risponde al nome di una tedesca amica del Guardasigilli dell’epoca, Claudio Martelli. Ma non era un antisocialista. Giacomo Mancini lo sostiene. Lui, in seguito, andrà nel suo ex Tribunale a testimoniare in favore del vecchio leone socialista accusato ingiustamente per mafia.

Cordova persegue la massoneria deviata. Produce 800 faldoni di carte. Finiranno a Roma. Una sorta di scippo. Quei verdetti saranno in larga parte assolutori, le inchieste a volte non sono arrivate neanche in aula. Cordova ha comunque decapitato feroci cosche e ha messo fuori gioco il potere di don Ciccio “Mazzetta”, dominatore dell’Asl e del Comune di Taurianova.

Cordova è stato un giudice che si definiva indomito e solitario nella lotta al male. Come Gratteri. Ma per il giornalista Peppe D’Avanzo egli preferiva “che la politica gli tenesse la mano nella spalla”. Infatti la sinistra comunista politica e togata lo sostiene contro Giovanni Falcone per la nomina alla Procura Nazionale Antimafia. Perde. Diventa procuratore della Repubblica a Napoli. Il suo coordinamento viene contestato da 60 sostituti. Il Csm si spacca. Questa volta lo sostiene la destra. La destra plaude anche quando persegue senza costrutto Bassolino. Durissima la moglie di Cordova, Marisa, in un libro di Giorgio Bocca dedicato a Napoli dice: «La vera “camorra” forse sono i colleghi di mio marito, sono i giudici che si fingevano suoi amici quando lui passava in Procura. Lui lavorava senza guardare che cosa poteva essere utile a questo o a quello».

Oggi Cordova è malato, dimenticato da quasi tutti, tranne da qualche cronista e dai siti legalitari che ne ricordano soprattutto l’inchiesta contro la massomafia finita nel nulla.

Ora Nicola Gratteri è in corsa per la procura di Milano. La più simbolica d’Italia, e da sempre governata dalle toghe rosse. Gratteri è indipendente. Come era Cordova. Troppi veleni vogliono ostacolare il procuratore blindato che nel tempo libero zappa il suo giardino. La moderna metropoli è la nuova capitale della ‘ndrangheta, quantomeno dal punto di vista finanziario.

Ma i magistrati milanesi come accoglierebbero Gratteri? Forse come quelli napoletani che fecero opposizione a Cordova? Gratteri e Cordova due magistrati con molte similitudini sia pure con le diversità delle epoche in cui hanno affrontato la lotta al crimine contaminato. Cordova è nella storia d’Italia. L’ultimo tratto per Gratteri è ancora aperto.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE