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CHE la ‘ndrangheta calabrese sia probabilmente la più pericolosa e potente organizzazione criminale attiva sul territorio italiano e non solo lo si sapeva ormai da tempo, ma ora è la stessa Dia che la mette in cima alla gerarchia di pericolosità nella sua relazione semestrale al Parlamento sullo stato della lotta alla criminalità organizzata.

La Relazione riguardante il secondo semestre 2018 della Direzione investigativa antimafia traccia un quadro ben specifico della ‘ndrangheta considerata «una consorteria fortemente strutturata su base territoriale, ancorata ai tradizionali vincoli familiari e articolata su più livelli facenti capo ad organismi di vertice, che riescono ad orientare le linee strategiche, dirimendo al contempo eventuali controversie interne: un fenomeno risalente nel tempo, ma rivelatosi, dopo decenni di mediatica disattenzione, sicuramente al passo con i tempi, in grado di coglierne tutte le opportunità e capace di produrre potere e ricchezza».

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Nello specifico, «la sua spiccata vocazione imprenditoriale è favorita dalle ingenti risorse economiche di cui dispone, tenendo conto che può fare affidamento su diversificate attività illecite, che spaziano dal narcotraffico internazionale (gestito in posizione egemonica), all’infiltrazione negli appalti pubblici, dalle estorsioni al settore dei giochi e delle scommesse, i cui proventi vengono riciclati in attività legali».

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Tra i punti di forza dell’organizzazione criminale calabrese c’è «il rigido rispetto di usanze e ritualità tradizionali, che non si risolvono in mero formalismo, ma rappresentano un momento peculiare di sostanziale adesione ai precetti mafiosi. Non è un caso se risale agli inizi del ‘900 la rituale riunione che si svolge nel Comune di San Luca (RC), all’interno del Santuario della Madonna di Polsi in occasione della festa della Madonna della Montagna, nel mese di settembre: vi partecipano i rappresentanti di tutti i capi locali di ‘ndrangheta, nonché i vertici delle formazioni mafiose in proiezione extraregionale ed estera, nell’intento di pianificare affari, conflittualità, definire alleanze e dirimere controversie. San Luca, infatti, è da sempre considerata la mamma dei locali di ‘ndrangheta, custode della tradizione, della saggezza, delle regole istitutive che costituiscono il patrimonio identitario di tutte le cosche».

Sotto il profilo economico «le cosche calabresi sono alla ricerca continua di un indebito accesso ai circuiti finanziari legali, utili al riciclaggio dei capitali illeciti, insinuandosi prima nelle dinamiche relazionali degli enti locali e degli imprenditori, per riuscire così a condizionarne le scelte. Le aree più floride del Paese e diversi Stati esteri (Germania, Canada, Australia ne sono solo un esempio) hanno rappresentato, e costituiscono ancora oggi, un motivo – spiega la Dia – per avviare un processo di proiezione della struttura criminale, replicandone l’organizzazione, spesso facendo leva sulle capienti disponibilità economiche e sulla spiccata vocazione imprenditoriale dei propri clan».

Inoltre, «il dato relativo alla crisi socio-economica della Calabria, induce a riflettere in ordine alla potenziale attrattiva che le consorterie di ‘ndrangheta sono in grado di suscitare sulle nuove leve, così come emerso da recenti indagini di polizia. La ‘ndrangheta, infatti, sembra continuare a far leva sul bisogno di lavoro delle nuove generazioni anche per consolidare il controllo del tessuto socio-economico, offrendosi come sistema istituzionale alternativo. Non bisogna, pertanto, trascurare qualsivoglia iniziativa utile a far comprendere alle nuove generazioni quanto il sistema mafioso annulli ogni possibilità di sviluppo della società, favorendo, di contro, il benessere di pochi. Appare emblematico, in proposito, il lancio, nel febbraio 2019, sui canali Youtube di un video musicale del genere trap, interpretato da un giovane del reggino inneggiante alla supremazia della ‘ndrangheta sul territorio calabrese».

Le cosche egemoni nelle province calabresi

La struttura della ndrangheta vede, nelle diverse province calabresi, il prevalere di alcune cosche rispetta ad altre. Ecco gli equilibri con le cosche dominanti in ciascuna provincia.

REGGIO CALABRIA – Le analisi di settore e le pronunce giudiziarie degli ultimi anni consentono di confermare la ripartizione della presenza criminale reggina secondo le macro-aree del “mandamento centro”, “mandamento tirrenico” e “mandamento ionico”. Nel Mandamento Centro «si osserva l’egemonia delle cosche LIBRI, TEGANO, CONDELLO e DE STEFANO, peraltro, confermata da importanti pronunciamenti giudiziari». 

Nel Mandamento tirrenico le cosche «continuano ad esprimere una spiccata propensione imprenditoriale. Peraltro, negli ultimi anni si sono registrati mutamenti strutturali ed organici negli storici casati di ‘ndrangheta, con nuove alleanze strategiche tra gruppi finalizzate al controllo delle attività illecite o al mantenimento degli equilibri criminali dell’area. Proprio in questo territorio si continua a registrare l’operatività dei gruppi PIROMALLI e MOLÈ, in ultimo proiettati anche nel controllo del settore dei giochi e delle scommesse, come emerso nell’ambito della già richiamata operazione “Galassia”».

Le cosche del Mandamento jonico «confermano la loro spiccata propensione per il traffico internazionale di stupefacenti, riuscendo a movimentare grandi quantitativi di droga grazie ai consolidati rapporti di affidabilità con i fornitori stranieri. Per quanto attiene alla mappatura geo-criminale – scrive la Dia – si richiama, in primo luogo, il locale di Platì, nell’ambito del quale si conferma l’operatività delle cosche federate BARBARO-TRIMBOLI-MARANDO. Nel locale di San Luca risultano, invece, tuttora egemoni le cosche PELLE-VOTTARI-ROMEO e NIRTA-STRANGIO che, analogamente alle altre compagini ‘ndranghetiste del mandamento jonico non disdegnano, nelle loro proiezioni extraregionali, relazioni con i sodalizi di altra matrice».

A Catanzaro, capoluogo di regione, «si conferma l’operatività dei clan dei GAGLIANESI e degli ZINGARI, operanti soprattutto nei quartieri meridionali, mentre, più in generale, nella provincia permane la forte influenza, anche sotto il profilo imprenditoriale, della cosca cutrese dei GRANDE ARACRI» mentre «il territorio di Lamezia Terme risulta convenzionalmente ripartito in tre aree, rispettivamente di competenza dei clan TORCASIO-CERRA-GUALTIERI, IANNAZZO e GIAMPÀ – cui si affiancano compagini di minor rilievo – ancora protagonisti di azioni estorsive sul tessuto economico locale. Infatti, nonostante l’efficace azione di contrasto degli ultimi anni che ha portato all’arresto di numerosi capi clan e gregari, i citati sodalizi continuano a manifestare evidenti segnali di presenza criminale su alcune zone del territorio».

La provincia di Vibo Valentia continua a costituire territorio di riferimento del locale di Limbadi e, nello specifico, della famiglia MANCUSO, in solida alleanza con le cosche reggine, in particolare quelle della Piana di Gioia Tauro. «L’estrema pericolosità della cosca MANCUSO – spiega la Dia – non solo nel profilo militare ma anche in quello, più insidioso delle infiltrazioni negli apparati politico-amministrativi e nel mondo imprenditoriale, ha trovato un’ulteriore conferma nella operazione “Via col vento”, conclusa nel mese di luglio. Le indagini hanno fatto luce su numerosi episodi estorsivi in danno sia delle società multinazionali impegnate nella realizzazione dei parchi eolici nelle province di Reggio Calabria, Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia, sia delle imprese appaltatrici non colluse, costrette a corrispondere alle cosche una percentuale sull’importo delle opere da eseguire. Con riferimento al territorio vibonese, gli imprenditori interessati dovevano interfacciarsi con i MANCUSO e con gli ANELLO di Filadelfia».

Nella provincia di Crotone «la ‘ndrangheta continua ad esercitare la propria egemonia attraverso la cosca Grande Aracri, in provincia con il locale di Cutro, che rappresenta il punto di riferimento anche per le altre famiglie, potendo allo stesso tempo vantare consolidate alleanze con le cosche della provincia di Reggio Calabria, del capoluogo di regione e dell’alto Jonio cosentino. Tale locale è così forte da riuscire ad esercitare il proprio controllo anche fuori del territorio calabrese. In particolare, nel capoluogo si registra l’operatività del clan VRENNA-BONAVENTURA-CORIGLIANO, mentre nella località Cantorato insiste la cosca TORNICCHIO».

Per quanto riguarda la provincia di Cosenza «le indagini concluse nel semestre continuano a dar conto della piena operatività, nella provincia cosentina, delle cosche ABBRUZZESE e RANGO-ZINGARI, in connessione con i gruppi LANZINO-PATITUCCI e PERNA-CICERO», mentre «nell’area di Paola si registra l’operatività delle cosche MARTELLO-SCOFANO-DITTO e SERPA, tra loro contrapposte, e della cosca RANGO-ZINGARI di Cosenza; ad Amantea insistono i BESALDO, i GENTILE e gli AFRICANO. Sul versante jonico cosentino e fino a Scanzano Jonico (MT), esercitano la propria egemonia i gruppi ABBRUZZESE di Cassano allo Ionio ed ACRI-MORFÒ, dediti prevalentemente al traffico di sostanze stupefacenti».

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