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La compianta scrittrice Angela Aurora Luzzi

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di CARLO SPARTACO CAPOGRECO*

La scomparsa della scrittrice Angela Aurora Luzzi, avvenuta il 15 agosto, rappresenta un durissimo colpo per l’Università della Calabria, dove lei lavorava nell’ambito del sistema bibliotecario.

Una grave privazione per la cultura e per il consesso civile in genere che, con Aurora Luzzi, perdono una professionista ineccepibile, una narratrice delicata, una personalità attenta e sempre pronta a schierarsi in difesa della libertà e della dignità.

Mi piace ricordare ai lettori del Quotidiano il mio primo incontro con Aurora, avvenuto nel 2017, nell’allora Dipartimento di Lingue e Scienze dell’Educazione dell’Unical, perché, dal primo istante, l’“impatto” con lei fu notevole.

Come sempre avviene, del resto, quando si è al cospetto di persone colte, eclettiche e coerenti. I suoi tratti salienti mi parvero, soprattutto, l’ironia e la voglia di vivere e di conoscere e fu per me una gioia pensare che una persona siffatta fosse venuta a lavorare nel mio stesso dipartimento.

Aurora (che era originaria di Acri e si era laureata ad Arcavacata con una tesi su Torquato Tasso) era “piombata” all’Unical (dal Politecnico di Milano, dove lavorava nella biblioteca) per via di uno “scambio” con un’impiegata del nostro dipartimento trasferitasi al Nord… Amava profondamente la Calabria e, pur conoscendone bene le storture e i suoi tanti “guasti”, pensò che ritornare in regione e lavorare all’Unical potesse consentirle a “dare una mano” alla sua terra d’origine; oltre che a stare più vicina all’anziana madre. Una scelta non scontata, ma molto impegnativa, la sua, visto che al Politecnico milanese Aurora era molto stimata e quel lavoro le dava grandi soddisfazioni.

All’epoca, aveva già pubblicato alcuni testi letterari (il suo primo libro, “Se mi racconti”, era uscito nel 2014 per i tipi di “Terre d’ulivi” di Lecce; nel 2016 un suo racconto era stato incluso tra i vincitori del Premio Arcore), nei quali raccontava la fatica e l’incertezza del vivere, l’ingiustizia del caso, l’assenza, la malattia e la consolazione del sogno che – diceva spesso Aurora – a volte può essere “racchiuso”, semplicemente, in una scatola di fotografie, in un cespuglio di ginestre, in una bandiera al vento, in una vecchia canzone degli anni giovanili.

La sua permanenza nel mio dipartimento si protrasse fino alla primavera del 2018. Poi ci convincemmo tutti del fatto che la specifica professionalità di Aurora aveva bisogno di spazi diversi. Che era un peccato limitarla all’organizzazione della nostra didattica dipartimentale. La Dottoressa Luzzi passò così, più appropriatamente, alle biblioteche universitarie: da quella d’area scientifica a quella d’area umanistica. “Mi occupo di banche dati e risorse elettroniche, reference e assistenza bibliografica avanzata. Insomma, faccio il mio lavoro e quindi sono soddisfatta”, mi scriveva in una email, il 15 dicembre 2018, era evidentemente più contenta.

Intanto, Aurora cominciava purtroppo a confrontarsi con un nemico inaspettato – tosto e insidioso – che alla fine l’ha portata via. Un nemico che, però, lei ha combattuto con grande compostezza e riservatezza. Ma più che confrontarsi con il cancro, il problema più grosso, paradossalmente, ora fu quello del doversi rapportare, in modo più ravvicinato, col cancro storico della malasanità calabrese. Nell’autunno 2020, anche il Tg regionale ha riportato le sue denunce pronunciate in prima persona: “Qui un diritto legittimo diventa un’odissea”, raccontava Aurora in collegamento-Skype dalla sua casa di Montalto. Ed ancora: “E’ incomprensibile che il diritto del malato venga leso in questo modo, specie in un contesto peggiorato dall’emergenza Covid”, sottolineava Aurora, dopo essersi rivolta anche ai Carabinieri per chiedere che venisse fatta luce sulla strana tempistica e sul sistema palesemente clientelare delle prenotazioni ambulatoriali e ospedaliere in provincia di Cosenza.

Anche in questa fase, insomma, Aurora si è dimostrata forte e coraggiosa e – quantunque sempre più indebolita dalla malattia – ha continuato a lottare, come sempre aveva fatto, contro tutte le avversità della società e della vita. Lo ha fatto viso aperto e con la sua sana “ribellione contro ogni forma di fascismo, di prevaricazione, violazione dei diritti e della libertà dell’uomo”, per dirla con le parole che aveva usato Aurora stessa, nel suo ultimo libro (“Bella Ciao e altre storie”), per descrivere il vero senso della nota canzone partigiana.

La felicità è un esile filo di seta, soleva dire, con l’ironia e il sentimento che la contraddistinguevano, Aurora Luzzi che ha fatto sempre di tutto per preservare il proprio diritto alla felicità e ad una vita degna di essere vissuta. A noi che l’abbiamo conosciuta ed a quanti la conosceranno attraverso i suoi libri – passato il momento del dolore, dello stupore e del lutto – toccherà il momento del giusto ricordo. Di un ricordo che non trascuri il fatto che Aurora era ritornata in Calabria per amore di questa terra e che, probabilmente, lei sarebbe ancora tra noi, se non fosse incappata, ahimè, nell’“assistenza” di una sanità da quarto mondo.

*Professore di Storia Contemporanea all’Università della Calabria

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