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Un Assistente Capo Coordinatore del Corpo di Polizia Penitenziaria, di 53 anni, originario della Calabria e da molti anni in servizio nel carcere di Piacenza, si è tolto la vita in mattinata, impiccandosi nei pressi della cantina di casa. 

A darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (SAPPE).

«Sembra davvero non avere fine il mal di vivere che caratterizza gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, uno dei quattro Corpi di Polizia dello Stato italiano», ha dichiarato Donato Capece, segretario generale del Sappe. 

«Siamo sconvolti. L’uomo era da tempo assente dal servizio per malattia ma era benvoluto da tutti. Ha atteso che la moglie uscisse di casa ed ha posto in essere il tragico gesto». 

Capece, pur non entrando nel merito delle cause del gesto estremo, sottolinea come sia importante «evitare strumentalizzazioni ma fondamentale e necessario è comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l’attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere dal poliziotto. Non sappiamo se, in questo, era percepibile o meno un eventuale disagio che viveva il collega. Quel che è certo è che sui temi del benessere lavorativo dei poliziotti penitenziari l’Amministrazione Penitenziaria e il Ministero della Giustizia sono in colpevole ritardo, senza alcuna iniziativa concreta. Al ministro Bonafade ed ai Sottosegretari di Stato Andrea Giorgis e Vittorio Ferraresi chiedo un incontro urgente per attivare serie iniziative di contrasto al disagio dei poliziotti penitenziari».

Inoltre, «è luogo comune pensare che lo stress lavorativo sia appannaggio solamente delle persone fragili e indifese: il fenomeno colpisce inevitabilmente anche quelle categorie di lavoratori che almeno nell’immaginario collettivo ne sarebbero esenti, ci riferiamo in modo particolare alle cosiddette “professioni di aiuto”, dove gli operatori sono costantemente esposti a situazioni stressogene alle quali ognuno di loro reagisce in base al ruolo ricoperto e alle specificità del gruppo di appartenenza, spesso come in Emilia Romagna in condizioni di lavoro difficili aggravate dall’endemica carenza di Agenti», ha aggiunto Francesco Campobasso, segretario nazionale SAPPE per l’Emilia Romagna. 

«Il riferimento è, ad esempio, a tutti coloro che nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza spesso si ritrovano soli con i loro vissuti, demotivati e sottoposti ad innumerevoli rischi e ad occuparsi di vari stati di disagio familiare, di problemi sociali di infanzia maltrattata ovvero tutto quel mondo della marginalità che ha bisogno, soprattutto, di un aiuto immediato sulla strada per sopravvivere», sottolinea ancora Capece.

«Il Ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non può continuare a tergiversare su questa drammatica realtà», concludono i sindacalisti. 

«Servono soluzioni concrete per il contrasto del disagio lavorativo del Personale di Polizia Penitenziaria. Come anche hanno evidenziato autorevoli esperti del settore, è necessario strutturare un’apposita direzione medica della Polizia Penitenziaria, composta da medici e da psicologi impegnati a tutelare e promuovere la salute di tutti i dipendenti dell’Amministrazione Penitenziaria. Non si perde altro prezioso tempo nel non mettere in atto immediate strategie di contrasto del disagio che vivono gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria è irresponsabile. Vorrei fare un appello al Ministro Bonafede: non c’è più tempo da perdere su questa grave, importante ma ancora troppo trascurata criticità!».

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