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COSENZA – La lettera è stringata ma forte: il commissario Zuccatelli due giorni fa ha disposto il blocco dell’esecuzione dei test sierologici su Covid nei laboratori privati della provincia. Il motivo sarebbe che ad oggi solo l’Asp è la struttura demandata alla gestione dell’emergenza e che, allo stato attuale, con una sperimentazione nazionale in corso su 150mila italiani si devono aspettare i risultati sull’affidabilità dei test. Su questo problema è intervenuta anche l’Anisap, la Federazione Nazionale delle Associazioni Regionali o Interregionali delle Istituzioni Sanitarie Ambulatoriali Private, della Calabria.

Il presidente Edoardo Macino ha tracciato un quadro differente rispetto alle disposizioni del commissario Zuccatelli, chiarendo anche una serie di aspetti. Dalle regioni che si stanno già muovendo su questo fronte, alla necessità di applicare controlli per evitare truffe e speculazioni. In mezzo resta la decisione di Zuccatelli, ad oggi unica in Calabria. Nelle altre province si va avanti e i laboratori si stanno attrezzando mentre la Regione ancora non decide mentre si discute su mancanza di tamponi e reagenti e di controlli non proprio capillari. L’ultimo caso è denunciato dal sindaco di Corigliano-Rossano Flavio Stasi, che denuncia la mancanza di dispositivi di protezione del il dipartimento di prevenzione e il mancato pagamento di alcune spettanze per i tecnici Asp.

LE ALTRE REGIONI

«Non si capisce perché in Calabria non si sta facendo quello che accade nel resto d’Italia – dice Macino – In Toscana la Regione ha indetto un bando per individuare 61 laboratori autorizzati alla sieroimmunologia. Così ha applicato un controllo diretto sui laboratori. Il rimborso è persino fuori budget visto che esistono fondi specifici per l’emergenza Covid». Lo stesso accade nel Lazio dove «la Regione ha chiesto l’elenco delle attrezzature necessario per questo tipo di test ai laboratori e poi ha indicato le categorie che dovranno sottoporsi: forze dell’ordine, sanitari e Municipale. Ma così è ovunque: Veneto, Liguria, Sicilia, Puglia». In Calabria no.

LE AZIENDE

«Qua non è che si parla di mille test – dice Macino – ma di migliaia. La cosa riguarda anche le aziende calabresi. I medici del lavoro nel rilascio delle autorizzazioni alla riapertura, oltre al pre-triage, chiedono garanzie ai datori di lavoro. E come si fa se qua in Calabria ci sono ancora sanitari che da inizio epidemia non sono stati sottoposti a tampone?».

NIENTE BANDI

«Si sa che l’Asp di Catanzaro ha indetto una gara per l’acquisto dei test sierologici, ma ad oggi è l’unica in Calabria. Peraltro pagandoli moltissimo rispetto al prezzo di mercato, il resto nulla. Questo è assurdo – ribadisce Macino – anche perché noi abbiamo a disposizione tutti i macchinari necessari per questo tipo di test. Li facciamo normalmente per altro».

SPECULAZIONI E TEST INADATTI

Attenzione, però, ai costi e alle truffe. «Oltre a coinvolgere le strutture – insiste il presidente regionale Anisap – la Regione potrebbe applicare un controllo sui prezzi ed evitare speculazioni. Ci sono stati casi piuttosto inauditi, anche in provincia di Cosenza, con test inaffidabili effettuati a prezzi decisamente esorbitanti». Il problema è che senza una regolamentazione si rischia davvero un far West con «strutture, che non sono neanche laboratori che stanno comunque propagandando questo tipo di esami. Questo non si può permettere».

CHI DEVE DECIDERE

Qua a decidere dovrebbe essere la regione «e non un commissario di un’azienda provinciale» anche perché «nelle altre province ci sono laboratori che si stanno attrezzando ma non hanno subito pressioni di questo tipo dal pubblico. Ci sono laboratori autorizzati, in regola, che possono e devono fare questo tipo di controlli».

LO STATO DELL’ARTE

C’è poi il problema dei pagamenti alle strutture private: «Ad oggi da Cosenza e Regio Calabria non abbiamo ricevuto un euro relativo al 2020. Lazio e Sicilia si sono offerti di pagare in dodicesimi marzo, aprile e maggio per garantire liquidità alle aziende. Eppure abbiamo sostenuto costi enormi». Qualche esempio: «le mascherine, che prima pagavamo 16 centesimi, siamo arrivati a pagarle 1,20 euro, le visiere 25 euro, le mascherine Ffp2 e Ffp3 8 euro e 50. In più abbiamo dovuto attrezzare le strutture con norme anti covid. Un esempio su tutti sono le piantane per i disinfettanti: pagate anche 82 euro l’una». E l’Amuchina? «Anche 30 volte più alta del prezzo pre-emergenza».

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