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COSENZA – «Dopo più di due mesi di isolamento e nel mezzo una tristissima Pasqua lontano da casa, la Regione Calabria, invece di ascoltare le esigenze di questi suoi figli “esiliati” preferisce chiudere gli occhi dinanzi al fenomeno, derubricandolo a questione politica e, peggio ancora, invitando al sacrificio addirittura per altre tre settimane. Scrivo questa lettera perché fin quando mi sarà possibile, vorrei lottare contro questa palese negazione del mio diritto sacrosanto di rientrare nel mio luogo di residenza, a casa mia, da mia madre che è rimasta sola, la stessa donna che all’epoca dell’esodo mi intimò di restare su e resistere».

Le parole, durissime, arrivano da una lettera inviata dal Quotidiano da Ignazio Boccia, uno studente calabrese di 23 anni che frequenta l’università di Milano Bicocca. Una lettera che più che un appello è un invito alla Regione nel rivedere le sue posizioni relative al ritorno degli studenti e dei lavoratori fuorisede bloccati dall’emergenza coronavirus.

Pochi giorni fa, infatti, il governatore Santelli aveva ribadito la linea dura sui rientri in Calabria (LEGGI), annunciando una riapertura dei confini non prima della fine di maggio. Una doccia fredda per centinaia di persone che da giorni sono alle prese con risposte confuse e piuttosto assurde da parte dei sistemi informativi regionali. Chi ha ricevuto picche, chi invece è stato autorizzato a tornare. Un caso che ormai ha raggiunto proporzioni enormi, con tanto di raccolta firme promossa dal preside del liceo Telesio di Cosenza per sensibilizzare la politica ad occuparsi dei pezzi di Calabria rimasti lontano.

«Nonostante viva a Milano dall’agosto 2016 – si legge nella lettera – sono un cittadino regolarmente residente a Rende e, prima che questa pandemia segnasse inevitabilmente la nostra quotidianità e le nostre abitudini, ero abituato a tornare spesso nella mia terra, alla quale sono fortemente legato e ne sono fiero ed orgoglioso. Tuttavia, volevo rivolgere un accorato appello, uno dei tanti studenti (e non) che, come me, hanno scelto di ubbidire allo Stato ed hanno deciso spontaneamente di confinarsi al settentrione d’Italia, evitando di affollare gli aerei, i treni ed i pullman come altri hanno vigliaccamente ed irresponsabilmente scelto di fare».

«Oggi, ad emergenza parzialmente rientrata, non riesco ad accettare la linea dura adottata nei confronti di chi, come me, ha rispettato le regole accettando anche di vivere da solo senza soldi e senza lavoro, una linea dura che, ricordo fin troppo bene, non fu seguita invece nei confronti di chi, su quelle regole, ha volgarmente sputato lasciando prevalere l’interesse personale. Possibile che la Regione scelga deliberatamente di premiare implicitamente tali irresponsabili? Possibile che una grande madre come la Calabria possa voltare le spalle ai propri figli? Desidererei tanto un barlume di speranza in questi tempi così bui. Vi prego di lottare fino alla fine per tutti noi che, quassù, continuiamo a contribuire alla lotta contro questa piaga. Non lasciateci soli, inascoltati».

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