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Il Municipio di Cutro

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CUTRO (CROTONE) – Anche se all’ingresso del Municipio campeggia la scritta “Qui la ‘ndrangheta non entra”, il Comune di Cutro è da sciogliere per infiltrazioni mafiose. Almeno queste sono le conclusioni del prefetto di Crotone, Tiziana Tombesi, che ha trasmesso al ministro degli Interni Lamorgese la sua relazione all’esito delle proposte formulate dalla commissione d’accesso antimafia che ha indagato per quasi sei mesi. La commissione si era insediata nel febbraio scorso in seguito alle risultanze dell’inchiesta che nel gennaio scorso ha portato all’operazione Thomas, condotta dalla Guardia di finanza di Crotone e dalla Dda di Catanzaro contro i presunti colletti bianchi della cosca Grande Aracri, tra i quali Ottavio Rizzuto, ex presidente della Bcc del Crotonese, carica da cui si era dimesso dopo l’arresto (successivamente annullato dal Riesame) per concorso esterno in associazione mafiosa, ma anche dirigente dell’area tecnica dell’ente fino al 2015. La commissione aveva chiesto una proroga di tre mesi a causa del rallentamento degli accertamenti dovuto al lockdown in piena pandemia.

L’organismo era composto da Tiziana Costantino, prefetto in quiescenza che contestualmente ha guidato (e continua a guidare) il Comune di Crotone, commissariato dopo le dimissioni del sindaco Ugo Pugliese coinvolto nell’inchiesta sulla piscina comunale; da Gianfranco Ielo, funzionario economico-finanziario, peraltro membro della commissione che governa il Comune di Cirò Marina già sciolto per mafia, e dal tenente Giovanni Ansaldi, del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Crotone. L’ormai ex sindaco, Salvatore Divuono, si era dimesso per il venir meno della maggioranza e il 4 luglio scorso si è insediato al Comune il commissario Domenico Mannino, anch’egli prefetto in quiescenza. Massimo il riserbo sul contenuto degli accertamenti, che hanno spaziato a vastissimo raggio, con particolare riferimento a favori e omissioni compiuti da amministratori e funzionari, negli anni, nei confronti di esponenti di note famiglie mafiose.

Intanto, dalle carte dell’inchiesta Thomas si è sviluppato un filone politico con una nuova indagine sul voto di scambio politico-mafioso in relazione alle elezioni comunali del 2016. Ma di una cappa sul Comune aveva già parlato alla Finanza la commissaria prefettizia Maria Carolina Ippolito che, nel marzo 2015, assunse la guida dell’ente dopo lo scioglimento del consiglio comunale in seguito alle dimissioni della maggioranza dei suoi componenti, e che successivamente avrebbe dichiarato il dissesto finanziario del Comune. Da lì partì l’inchiesta. A interrogarla, nell’ottobre 2015, furono il pm Antimafia Domenico Guarascio e i finanzieri di Crotone, per i quali «E’ stata rilevata una sostanziale concentrazione dei poteri e delle funzioni a capo dell’ex sindaco Salvatore Migale e dell’ingegnere Rizzuto».

Secondo gli inquirenti, sarebbero stati così estromessi, di fatto, dalle loro funzioni, i responsabili dei vari uffici per una sorta di sudditanza, da parte dei dipendenti comunali, oltre che nei confronti del sindaco e del dirigente tecnico, anche nei confronti di Rosario Lerose, coindagato di Rizzuto nell’inchiesta e gestore di fatto della IdroImpianti, e ciò in considerazione del fatto che per ogni manutenzione delle condotte idriche e fognarie di pertinenza comunale sarebbe stato il referente privilegiato. Anche Migale, la cui auto Fiat “Grande Punto” è stata a lungo sottoposta a intercettazioni così come la Mercedes “E” di Rizzuto, fu iscritto nel registro degli indagati per abuso d’ufficio in concorso con l’aggravante mafiosa. La richiesta di intercettazioni si giustificava con la necessità di approfondire «il contesto ambientale ove si colloca l’ente locale, con particolare riguardo al profilo dell’ex sindaco Migale, di altri amministratori e di alcuni tra dirigenti e dipendenti comunali tra i quali l’ingegnere Rizzuto», in quanto «l’ingiustificato ricorso alla somma urgenza» sarebbe «sintomatico di un’illegittima gestione della cosa pubblica finalizzata a a favorire gli interessi della locale consorteria criminale».

Sarebbe emerso anche un certo “disordine” degli atti amministrativi nonché la sistematica attribuzione delle gare di appalto, senza soluzioni di continuità, tra il 2005 ed il 2014 con la compiacenza di Rizzuto, in quegli anni responsabile dell’ufficio tecnico, all’impresa di Lerose, peraltro fratello di un cognato del boss Nicolino Grande Aracri. E quando i commissari misero fine al sistema la reazione fu violenta. In questo contesto si registrano le intercettazioni in cui Lerose intima al dipendente Pietro Caterisano, allora all’ufficio tecnico, di non muoversi senza prima effettuare pagamenti. Stizzito per la perdita del monopolio dopo nove anni, in seguito all’affidamento dell’incarico alla ditta Greco di Catanzaro, Lerose prima avrebbe minacciato Caterisano di mandare sette dipendenti di Cutro a “casa vostra”, visto che appunto stanno lavorando “quelli di Catanzaro”, poi avrebbe attuato una “chiamata alle armi”, con l’indizione di uno “sciopero” che consisteva nel bloccare l’ingresso agli impianti con i mezzi pesanti. Un boicottaggio manco denunciato dai Greco, segno evidente, secondo gli inquirenti, del clima di omertà imperante. «Poi ci sono le votazioni e le cose cambiano di nuovo», diceva sempre Lerose.

E inizia una nuova indagine. Stavolta per voto di scambio elettorale politico-mafioso. E a carico, tra gli altri, del cardiologo Alfonso Sestito, già in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, dell’avvocato Domenico Grande Aracri, fratello del capocrimine ergastolano Nicolino, dell’imprenditore Massimo Tambaro, che si era candidato a sindaco con “Patto civico per Cutro” ed attualmente è coordinatore cittadino di Forza Italia, dell’architetto Antonio Pallone, già balzato all’attenzione nella stessa inchiesta Aemilia in relazione al cosiddetto Piano Cutro, con riferimento agli investimenti programmati dalla super cosca. Ci sono anche intercettazioni relative a un presunto accordo, subito dopo le elezioni di giugno, sulla presidenza del consiglio comunale da affidare a Tambaro, anche se tale figura non fu poi istituita. Un contesto ritenuto dagli inquirenti meritevole di approfondimenti, tanto più che nelle intercettazioni si parla di voti comprati.

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