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Il poliziotto infedele Massimiliano Allevato

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CROTONE – Otto anni e due mesi di reclusione, più un anno e due mesi di isolamento diurno come pena accessoria: è la condanna inflitta ieri dal Tribunale penale di Crotone al sovrintendente della polizia di Stato Massimiliano Allevato, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e rivelazione di segreti.

In una precedente udienza il pm Antimafia Paolo Sirleo aveva chiesto otto anni. Allevato finì nei guai per il messaggio “News, amò” rinvenuto sulla chat Telegram contenuta in uno dei telefoni sequestrati a casa di Rocco Devona, presunto esponente apicale della cosca Megna, stanziata nel quartiere Papanice, nonché irreperibile destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare che gli agenti della Squadra Mobile della Questura stavano eseguendo, nella notte tra il 19 e il 20 dicembre 2018, nell’ambito dell’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro che portò all’operazione Tisifone, con 23 fermi.

Fu quel messaggino a mettere i poliziotti sulle tracce del loro collega a quanto pare “infedele”. Devona intanto è stato già condannato a dieci anni di reclusione ma, al termine di un’appendice investigativa, scattò una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere, e tra i destinatari c’era Allevato, finito poi sotto processo.

Ripercorrendo elementi dell’indagine, il pm ha insistito, nella sua requisitoria, sulla capacità di Allevato di interfacciarsi con diverse cosche attive nel Crotonese per perseguire finalità di lucro. Allevato ammise di aver intrecciato un rapporto di amicizia, con frequentazione quotidiana, con Devona, pur avendo indagato su di lui, ai tempi in cui era alla Squadra Mobile (fu poi trasferito all’Ufficio Immigrazione e all’Ufficio di Gabinetto).

Proprio in virtù di tale rapporto avrebbe chiesto al presunto esponente del clan prestiti prima per 500 euro e poi per 400 euro. In seguito a ciò, Devona avrebbe iniziato a chiedere ad Allevato informazioni su indagini nei suoi confronti e più in generale sulla cosca Megna.

Il suo difensore, l’avvocato Fabrizio Salviati, che ha già preannunciato appello, ha puntato sull’inattendibilità del collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, per le dichiarazioni tardive (rese a dieci anni dal termine di 180 giorni) sulle presunte pressioni degli agenti nei suoi confronti e per le contraddizioni con quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale.

Ma ha anche sostenuto che il suo assistito non avrebbe fornito alcun appoggio alla latitanza di De Vona, peraltro consegnatosi a pochi giorni dal mancato arresto. L’avvocato Salviati ha sostenuto pertanto che Allevato non avrebbe potuto favorire la latitanza di uno che non aveva il disegno di rendersi irreperibile e che non sono stati verificati incontri con il presunto esponente del clan.

Quanto al contenuto dei messaggi, inoltre, il legale ha ipotizzato che sarebbero stati interpretati in maniera distorta dall’accusa e che Allevato non rivelò alcuna notizia coperta da segreto né pregiudica alcuna indagine o apportò beneficio ad un’associazione mafiosa. 

Nel corso dell’istruttoria la Dda ha peraltro depositato le trascrizioni di conversazioni tra Allevato e il patron del Crotone calcio Gianni Vrenna a cui chiese un prestito di 650 euro: secondo la ricostruzione degli inquirenti, si sarebbe proposto di fornire informazioni su eventuali indagini a suo carico.

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