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Nicolino Grande Aracri

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CUTRO (CROTONE) – Ma quale pentimento; lui non voleva diventare un collaboratore di giustizia. Nicolino Grande Aracri, il super boss ergastolano a capo di una “provincia” di ‘ndrangheta che comandava su mezza Calabria e aveva importanti proiezioni in Emilia, Lombardia e Veneto, ha parlato dei colloqui intercorsi con i magistrati della Dda di Catanzaro nei mesi scorsi, rendendo dichiarazioni spontanee nel processo che si sta celebrando dinanzi alla Corte d’assise d’appello di Bologna per due omicidi compiuti nell’annus horribilis 1992, vittime Nicola Vasapollo, caduto a Pieve a Reggio, e Giuseppe Ruggiero, freddato da un commando di finti carabinieri a Brescello. L’accusa aveva chiesto quattro ergastoli in una precedente udienza (oltre che per il boss, anche per i presunti sodali Antonio Ciampà, Angelo Greco e Antonio Lerose). Collegato in videoconferenza dal carcere di Milano Opera, Grande Aracri ha spiegato di aver chiesto di parlare con il procuratore Nicola Gratteri “per chiarire la posizione di mia moglie e di mia figlia”. Giuseppina Mauro e Elisabetta Grande Aracri erano state coinvolte nell’operazione Farma Business, come si ricorderà, nel novembre 2020. Ma il boss se l’è presa anche col risalto mediatico suscitato dal principio di collaborazione con la giustizia – poi ritenuta inattendibile dalla Dda. La vasta eco che ebbe la notizia, secondo l’imputato, farebbe parte di “una strategia della Dda per indurmi a collaborare. E quando non ci sono riusciti – ha aggiunto – hanno detto che Grande Aracri era inattendibile”. Come si ricorderà, dopo alcune ammissioni parziali Grande Aracri propose racconti inverosimili – il clou lo toccò quando affermò che il fratello Ernesto trasportava a sua insaputa un cadavere – per cui la Dda rilevò una tendenza a sminuire le accuse per i familiari coinvolti in vari processi e ad alterare dati già cristallizzati con sentenze definitive. Ma il boss ha parlato per circa due ore ripercorrendo atti giudiziari e vecchie sentenze, ricostruendo fatti e circostanze che a suo dire i collaboratori di giustizia hanno manipolato per il proprio tornaconto perché «falsi e bugiardi». Quindi si è dichiarato innocente, lui, capo conclamato di una super cosca che aveva colonizzato l’Emilia Romagna e oggetto del maxi proceso più grande mai celebrato contro le mafie al Nord. Leggendo un testo che si era preparato, Grande Aracri ha affrontato uno degli elementi cardine del processo, ovvero le divergenze nella ricostruzione dell’omicidio Ruggiero fatta dai pentiti Antonio Valerio e Salvatore Cortese, i quali, a dire del boss, non concordano sulla presenza o meno di un altro killer (il riferimento è a Aldo Carvelli) come componente del gruppo di fuoco.

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