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Un momento del processo

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CIRO’ MARINA (CROTONE) – Una sola condanna all’ergastolo, quella per Vincenzo Rispoli, boss di Legnano e Lonate Pozzolo, cellula al Nord del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, e ben quattro assoluzioni per l’omicidio di Cataldo Aloisio, commesso il 27 settembre 2008 davanti al cimitero di San Giorgio su Legnano.

Quattro assoluzioni che pesano molto, quelle di Silvio Farao, Cataldo Marincola (tra i capi storici dell’omonima cosca, denominata appunto Farao Marincola), Francesco Cicino, l’unico non cirotano del gruppo, e Vincenzo Farao, fratello del pentito Francesco Farao, e quindi figlio del boss Giuseppe Farao e cognato della vittima. Lo ha deciso la Corte d’Assise di Busto Arsizio. Il pm della Dda di Milano Cecilia Vassena in una precedente udienza aveva chiesto l’ergastolo per tutti e cinque gli imputati.

LA REQUISITORIA

«Non aveva paura, era molto critico nei confronti del suo ambiente, quel che aveva da dire lo diceva in faccia», ha ricordato il pm in una precedente udienza per individuare il movente del delitto. Aloisio era sposato con Elena Farao, figlia di Giuseppe, boss ergastolano, capo storico della cosca cirotana, ma non sembrava nutrire riverenza verso il suocero e i cognati: «Mia moglie è una donna d’oro, se non fosse per lei prenderei un mitra per i suoi parenti», ripeteva. Secondo l’accusa, Silvio Farao e Marincola, latitanti all’epoca dei fatti, avrebbero incaricato i coimputati quali esecutori materiali. Poco dopo le 12 di quel drammatico giorno, i killer incontrarono Aloisio in un centro commerciale e, con un pretesto, gli avrebbero dato appuntamento serale inducendolo a trattenersi a Legnano. La vittima fu assassinata con un solo colpo di pistola alla tempia e il corpo fu abbandonato in un campo antistante il cimitero.

LE RIVELAZIONI

L’input per ridare impulso alle indagini è giunto dalle rivelazioni del pentito Francesco Farao, che ha fornito il contributo di maggior rilievo e più fresco, avendo saltato il fosso dopo la mega operazione Stige del gennaio scorso, ed è fratello di uno degli indagati nonché figlio del capo supremo del clan. E’ stato lui a fare i nomi di presunti mandanti ed esecutori. Suo fratello, del resto, gli avrebbe detto, in sostanza, che Aloisio stava creando “problemi” a uno dei leader storici della cosca come Marincola e ai plenipotenziari Ciccio Castellano e Giuseppe Sestito e che pare fosse intenzionato a “toccare” costoro, nel senso di commettere una qualche azione violenta ai loro danni. Aloisio, cognato del pentito, non era nuovo a dissidi dal momento che, già in passato, era stato più volte rimproverato per aver intrapreso autonome iniziative senza renderne debitamente conto ai capi.

Ma il vero problema, secondo quanto rifelitogli dal fratello Vincenzo, era che Aloisio era intenzionato a vendicare la morte dello zio Vincenzo Pirillo, assassinato a Cirò Marina nell’agosto 2007 mentre cenava in un ristorante con i familiari. Il pentito ha raccontato anche dell’incontro con i latitanti in un luogo di montagna, nell’altopiano silano. Insieme al cugino Giuseppe, il pentito avrebbe avuto una lunga conversazione con Marincola mentre un gruppo di sette, forde otto persone, “vicine” ai latitanti, presidiavano la zona. Subito dopo i saluti di rito, la discussione assunse una piega inaspettata quando Marincola, forte del silenzio di Silvio Farao, si riferì ad Aloisio con toni di disprezzo che lasciavano intendere l’imminente spedizione punitiva. «Se la sarebbero vista loro».

A distanza di circa 15 giorni dall’esecuzione, il pentito sarebbe stato “convocato” dal cugino Vittorio, figlio di Silvio. Oggetto del summit: il freddo saluto da lui girato ai plenipotenziari del clan Pino Sestito e Ciccio Castellano. Del resto, era stato ammazzato il cognato e i pezzi da novanta non potevano non sapere nulla, e Francesco Farao non aveva voglia di sorridere. Durante il colloquio, svoltosi nei vicoli di Cirò Superiore, il pentito sarebbe venuto a conoscenza del fatto che il delitto era stato commissionato congiuntamente da Cataldo Marincola e dallo zio Silvio Farao ed eseguito dal fratello Vincenzo e dal cugino Vincenzo Rispoli.

Sempre il cugino gli avrebbe svelato che Aloisio era stato ucciso a bordo di un’auto guidata da Rispoli e che era stato raggiunto da un colpo di pistola esploso da Vincenzo Farao, che occupava il sedile posteriore (mentre Aloisio era seduto al lato del passeggero). Dopo l’assassinio, l’auto era stata portata presso un centro demolizione e distrutta. Ma si è aggiunto anche il pentito Emanuele De Castro, uno degli esponenti dell’articolazione al Nord, che ha fatto pure lui rivelazioni sul delitto.

IL MOVENTE

Il movente dell’omicidio? Duplice, secondo una ricostruzione che però non ha retto del tutto: la paventata pericolosità per i propositi di vendetta e la conoscenza diffusa tra gli affiliati della collaborazione di Aloisio con i carabinieri. La deliberazione ed esecuzione dell’omicidio sarebbe stata un affare interno alla cosca ‘ndranghetistica di appartenenza, secondo dinamiche tipiche delle consorterie mafiose: Aloisio era diventato troppo scomodo per i vertici del clan, sia per i rapporti di collaborazione avviati con i carabinieri e non sfuggiti al sistema di controlli del “locale”, sia per i propositi di vendetta dell’omicidio dello zio; quindi rappresentava sotto diversi profili una minaccia per gli equilibri interni del gruppo criminale e sebbene fosse coniugato con la figlia del capo storico della cosca, i reggenti del sodalizio avrebbero deciso di eliminarlo.

LA DIFESA

Del collegio difensivo fanno parte gli avvocati Salvatore Staiano, Sergio Rotundo, Gianni Russano, D’Agostino, D’Amelio, Occhipinti. La difesa ha puntato soprattutto sulle contraddizioni tra i pentiti che si smentiscono tra loro, anche con riferimento all’epoca della programmazione del delitto.

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