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“Nemo” e Luigi Bonaventura

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CROTONE – Diritto allo studio negato se sei figlio di collaboratore di giustizia. Parola di “Nemo” Bonaventura, ventenne figlio di Luigi, ex reggente dell’omonima cosca di Crotone che sarà il primo dei 58 pentiti ad essere sentito nel maxi processo Rinascita, contro i clan del Vibonese e i legami con la massoneria e la politica. Dopo aver terminato gli studi liceali, gli viene impedito di iscriversi all’università nella località protetta, con un aggravio di spese, se volesse iscriversi in un’altra regione, ma soprattutto con un rischio maggiore, senza documenti di copertura né protezione alcuna. Eppure quando frequentava scuole medie e superiori mica andava la pattuglia ad accompagnarlo sotto casa, anche questo un dato allarmante. E’ una storia assurda, ma ce ne sono di simili tra quelle raccolte da suo padre, massimo fautore dell’associazione “Sostenitori dei collaboratori di giustizia”. A una componente fondamentale della lotta alle mafie sono tolti diritti fondamentali. Non solo quello allo studio. Ne abbiamo parlato con “Nemo”.

Perché ti viene impedito di iscriverti all’università?

«Finito il liceo avrei voluto proseguire gli studi. Ma un giorno gli agenti del Nucleo di protezione ci dicono che per me è impossibile frequentare l’università all’interno della località protetta perché non riescono a oscurare i dati. Eppure quando andavo al liceo i miei dati non erano oscurati. Vogliono che faccia l’università fuori dalla località protetta, fuori dalla loro area di responsabilità. Così se mi succede qualcosa non è colpa loro. E dovrei farlo senza alcuna protezione e col mio cognome originale. A tutti gli effetti viene annullata la mia capacità».

Quindi quando andavi a scuola al liceo non eri protetto?

«All’interno della località cosiddetta segreta, peraltro piena di ‘ndranghetisti, non è che sia particolarmente efficace la protezione. Non c’è scorta né protezione a vista. Fino a neanche un anno fa in queste condizioni potevo andare a scuola ma non posso farlo all’università, non capisco quale sia la logica se i miei professori sapevano chi sono, come lo sapevano in segreteria. Non si capisce perché questa necessità di oscurare i dati salti fuori proprio adesso».

Cosa chiedi?

«Chiedo di vivere come una persona normale, invece si usa come pretesto una protezione che non esiste per non permettermi di studiare. Ma io non posso presentare un modello Isee per ottenere sgravi e non posso votare. Per farlo, per esempio, dovrei percorrere a mie spese migliaia di chilometri e viaggiare col nome originale. E per studiare dovrei usare il cognome Bonaventura che attira tanta attenzione in tutta Italia. Con un cognome differente potrei iscrivermi all’università. Vorrei vivere normalmente, magari con un po’ di sicurezza in più dato che sono figlio di un collaboratore di giustizia».

Cosa andrebbe cambiato nel sistema di protezione?

«Il programma di protezione è un apparato obsoleto, un’imposizione a prescindere. In queste condizioni non ci è consentito di lavorare, per esempio, mentre il cambio di generalità ci permetterebbe il reinserimento nel contesto sociale. Voglio fare un appello al presidente della Commissione antimafia, Nicola Morra. I familiari dei collaboratori di giustizia vivono come ostaggi e senza protezione. Eppure i collaboratori sono una componente fondamentale della lotta antimafia, come dimostra anche il processo Rinascita. Ma voglio fare un appello anche alla Calabria perché si scrolli di dosso un marchio orrendo: la ‘ndrangheta non è la strada giusta, è un marcio che mina tutto ciò che questa regione ha di bello. Ci sono uomini che vorrebbero inseguire e ammazzare mio padre e si dicono uomini d’onore, ma in questo non c’è nessun onore».

Cosa ti piacerebbe studiare?

«Scienze politiche, o forse sociologia».

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