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Vincenzo Iaquinta

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REGGIO EMILIA- «Fino a qualche anno fa ero un campione del mondo. Oggi con mio padre Giuseppe sono vittima della giustizia italiana. Nella mia vita non avrei mai pensato di dovermi difendere da un’accusa tanto infamante…».

È questo l’incipit dello sfogo che Vincenzo Iaquinta ha affidato ad un video messaggio pubblicato sulle sue pagine social, dopo la sentenza del processo Aemilia che lo ha visto condannato a 2 anni per detenzione illegale di armi (LEGGI).

L’ex attaccante della Nazionale italiana di calcio e della Juventus, campione del mondo con l’Italia di Marcello Lippi nel 2006, racconta la vicenda sua e del padre con sullo sfondouna immagine in cui veste la maglia dell’Udinese ed è assieme al padre Giuseppe, imprenditore edile cutrese con base a Reggiolo, nel Reggiano, nei cui confronti i giudici dello stesso processo contro la ‘ndrangheta hanno deciso 13 anni di condanna (sei in meno rispetto al primo grado) confermando l’associazione mafiosa.

Iaquinta, ribadisce la sua innocenza e aggiunge: «Non mi arrendo alla sentenza sono responsabile moralmente di difendere l’onestà di mio padre. Non mi sono mai sentito tanto solo e scoraggiato nella mia vita come in questo momento. Mi sento deluso perché per la seconda volta mio padre è stato condannato da uomini che non hanno giudicato in base alla realtà dei fatti. Una volta si può sbagliare, due inizia a diventare accanimento giudiziario. Una vita di una persona non può essere distrutta senza aver commesso quello di cui viene accusato».

Proprio per sostenere con decisione la propria estraneità ai fatti e quella del padre l’ex calciatore promette battaglia: «Non posso esimermi dall’urlare l’innocenza di mio padre. Lo devo a lui che in questo momento è impotente, incredulo, sfiancato. Lo devo alla memoria di mia madre che si è lasciata morire dal dolore. Lo devo ai miei figli».

Iaquinta confessa di essere allo stremo: «Oggi sono un uomo stanco, le mie gambe non corrono più. La mia testa corre più veloce cercando una soluzione. Non cerco pietà, un miracolo o la compiacenza di nessuno. Voglio solo giustizia, verità. Mio padre è in carcere per errore e finché non si ammetterà la verità, la mia voce non smetterà di urlare la sua innocenza. Da ora io sono Giuseppe Iaquinta, condannato da innocente».

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