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Don Tommaso Mazzei

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CROTONE – «La grande Chiesa, che è l’unione delle famiglie, ci manca. Abbiamo bisogno di fare comunione, di vedere anche i segni, con sacramenti ed eucarestia che devono essere celebrati nel loro luogo ideale», ma don Tommaso Mazzei, sacerdote della parrocchia “Santa Rita” e responsabile della pastorale famigliare diocesana, dei gruppi e delle aggregazioni laicali ecclesiali per la Diocesi di Crotone Santa Severina, comprende fino in fondo l’epoca che stiamo vivendo, consapevole che «c’è insicurezza anche nella scienza e nel Governo perché domina la paura».

La fase 2 per affrontare l’emergenza Covid-19 ha posto a confronto le tesi più restrittive di Governo e comitato tecnico scientifico, prolungando la chiusura delle chiese per le funzioni religiose, e quelle della Conferenza episcopale italiana, preoccupata dal protrarsi delle limitazioni alla libertà di culto.

Don Tommaso Mazzei, con alle spalle una corposa esperienza sacerdotale in diversi comuni del Catanzarese e del Crotonese, per anni alla guida di una parrocchia di frontiera quale quella di Botricello, ha affrontato il tema con assoluto equilibrio, consapevole delle ragioni e delle differenziazioni.

«Non è facile dare un giudizio spassionato, siamo tutti condizionati dalla paura che la pandemia possa continuare – ha affermato – ma il dialogo tra Chiesa e Governo deve essere sereno e costruttivo e nessuno vuole mettersi contro, prediligendo un ascolto reciproco. Il dialogo con la Chiesa è sempre costruttivo». Secondo il parroco, «il Governo ha fatto una scelta di apertura lenta, ha chiesto alla Chiesa sacrificio e pazienza per avere un’apertura in sicurezza, visto che non è chiaro come possiamo difenderci. Dobbiamo, però, riappropriarci dei luoghi e degli spazi, tenendo conto delle distanze e del fatto che il futuro non sarà più come prima e il nostro modo di relazionarci sarà comunque modificato e mortificato».

Nelle parole di don Tommaso c’è anche la piena coscienza di un diverso approccio della vita: «Noi del Sud siamo pieni di una comunicazione fatta di vicinanza, con le carezze, con l’affetto, con una mano sulla spalla – ha spiegato il presule – pieni di questa emozionalità che valorizza la nostra umanità. E’ così nella nostra cultura e nella nostra storia. Per questo, una delle sofferenze più grandi è stata quella delle persone che sono morte sole, senza una carezza dei propri cari. Con l’apertura dei soli funerali, però, si è voluto dare segno a questa grande sofferenza».

Davanti a questa condizione di estrema difficoltà, don Tommaso avanza una proposta concreta: «L’indicazione data sul “possibilmente all’aperto” per i funerali potrebbe essere una prima fase, un primo modo, là dove possibile. Dove sono io, ad esempio, c’è una piazza davanti e un anfiteatro dietro la chiesa, quindi abbiamo tante possibilità. Ogni domenica, dopo avere celebrato la Santa Messa in chiesa, apro le porte e impartisco la benedizione sul sagrato che affaccia sulla piazza e su un palazzo con decine di balconi e la gente affacciata. Questa apertura credo possa essere un primo passo, per poi riaprire naturalmente, definendo meglio le regole della distanza e dei dispositivi di sicurezza».

Il virus travolto le abitudini di tutti e don Tommaso lo sottolinea: «Ci dobbiamo abituare alla distanza, per poterci ritrovare e guardare negli occhi, per riappropriarci degli spazi che indicano libertà e voglia di vivere. Abbiamo bisogno di fare comunione, anche attraverso la comunicazione primaria che ci appartiene come persone umane, e abbiamo bisogno di vedere i segni: il più grande è Gesù, ma poi ci sono quelli visibili che sono i sacramenti e l’eucarestia, celebrati nel loro luogo ideale che è dentro la chiesa. Dobbiamo riscoprire i luoghi della preghiera, ritrovando anche la bellezza per noi sacerdoti di rincontrare il popolo, che a noi manca, così come al popolo manca l’altare e la parola che viene proclamata. Speriamo che questo possa avvenire al più presto – ha concluso don Tommaso Mazzei -sapendo che la fase intermedia potrebbe essere proprio quello dei luoghi aperti per abituarci alle distanze».

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