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ROMA – Lavora in nero oltre il 90% (lo scorso anno erano il 75%) dei braccianti stranieri della piana di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria; la maggior parte guadagna 20-25 euro per 8-10 ore di raccolta agrumi; il 72% è irregolare. È la fotografia scattata dal dossier Radici/Rosarno di Fondazione IntegrA/Azione e Rete Radici, presentato oggi al Senato.   

Nell’ultima stagione di raccolta il dossier ha contato duemila lavoratori “invisibili” nella località calabrese, a due anni dalla rivolta del 2010; tutti uomini, principalmente provenienti dall’Africa sahariana, con un’età media di 29 anni e senza permesso di soggiorno. Oltre l’80% della popolazione immigrata di Rosarno e dintorni ha avanzato domanda di protezione internazionale ed è bloccata in un limbo giuridico in attesa di risposte. Aumentano i lavoratori pagati “a cassetta” (37,4% contro il 10,44% dello scorso anno), con un prezzo standard di 1 euro a cassetta per i mandarini e 50 centesimi per le arance. I “caporali” provvedono a fornire l’ingaggio e spesso trattengono una percentuale della paga giornaliera che si attesta tra i 2,5 e i 4 euro a lavoratore. Un migrante su due spedisce parte dei guadagni alle famiglie nei Paesi d’origine. 

Il 37,6% dichiara di vivere con nulla o poco più (da 0 a 50 euro a settimana), in alloggi di fortuna come i casolari abbandonati senza acqua nè luce nè gas e mangiando alle mense della Caritas. Sono pochi quelli che riescono a vivere con più di 100 euro a settimana (2,7%) e pochissimi coloro che vivono con 200-300 euro al mese (il 17,4%). Le condizioni igienico sanitarie spaventose degli alloggi, prosegue il rapporto, la dieta alimentare insufficiente e squilibrata e la mancanza di prevenzione, aggiunte a un’attività lavorativa sfiancante, determina un precario stato di salute per i braccianti della piana. Infezioni alle vie respiratorie, disturbi dell’apparato gastrointestinale e malattie infettive li rendono affetti da un numero elevato di patologie professionali.   «La sanatoria di settembre – ha detto il presidente di Fondazione IntegrA/Azione, Luca Odevaine – che prevede la possibilità di “regolare” i rapporti professionali senza incappare nell’inasprimento delle pene per chi invece sarà oggetto di denuncia, apre uno spiraglio importantissimo al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Con il rilascio di un permesso di soggiorno di sei mesi, rinnovabile, si restituisce parte di quella dignità perduta e si incoraggia il ripristino della legalità. Ma molto resta ancora da fare e la politica non può oltremodo esimersi dal farsene carico».

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