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VIBO VALENTIA – Prima si dà un incarico ad un istituto di ricerca di caratura nazionale affinché operi uno studio sul sito industriale e sulla realtà economica vibonese e individui eventuali prospettive d’investimento, magari nel settore del riciclo dei rifiuti, poi si pensa a vendere ad un’altra azienda il sito, sempre che ve ne sia una disponibile ad investire nel Vibonese, che dovrebbe farsi carico anche di riassorbire le maestranze in via di completa dismissione. Questa la soluzione prospettata alla crisi della Italcementi dalla stessa società che di fatto ha sciolto ogni dubbio circa la propria volontà non solo di non riaprire lo stabilimento ma anche di sbarazzarsi dell’area e del sito industriale il tutto lanciando una sorta di indagine di mercato su cosa si può vendere in Calabria e in particolare nel Vibonese. «Da una chiusura netta, s’è aperto uno spiraglio», ha commentato il prefetto Michele Di Bari a margine del tavolo riapertosi ieri mattina all’Ufficio territoriale del governo. Pensa positivo e guarda al bicchiere mezzo pieno, il prefetto. D’altronde, ha aggiunto, «bisogna considerare che alla vigilia di quest’incontro nessuno aveva in tasca una proposta concreta per riaccendere la speranza di mantenere questa realtà industriale che significa decine di posti di lavoro e la salvaguardia di un sistema economico». Insomma, questo è meglio di niente. 

La proposta è stata avanzata all’avvio dell’incontro al quale, oltre i manager del colosso bergamasco, Silvestro Capitanio, Mario Mora e Giuseppe Agate, hanno preso parte l’assessore regionale al Lavoro Nazzareno Salerno, il deputato Bruno Censore, il consigliere regionale Pietro Giamborino, il sindaco Nicola D’Agostino, dirigenti degli enti coinvolti e di Confindustria, i segretari dei sindacati Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Cisal e Slai Cobas e una rappresentanza dei lavoratori. C’era anche il vescovo Luigi Renzo. 
Si prende tempo, probabilmente. «Agli attori di questo tavolo – ha aggiunto il capo dell’Ufficio territoriale del governo – il compito di alimentare una fiammella che si è riaccesa». La fiammella, flebile, arderà fino al mese di settembre, quando l’Italcementi illustrerà gli esiti dello studio. Da ottobre in poi si vedrà. Forse si estinguerà nuovamente, forse si alimenterà se, e solo se, Italcementi individuerà un’altra realtà industriale a cui sarebbe disponibile a far da «tutor». 
Proposte alternative poche. Utili più sul piano politico. E se «la Regione è pronta ad attivare tutti gli strumenti necessari per dare uno sbocco ai lavoratori dell’Italcementi», ha spiegato Nazzareno Salerno. Per Pietro Giamborino sarebbe utile «allargare l’interlocuzione». Obiettivo Roma, quindi, col contributo di Censore. Roma dove, ha spiegato il segretario della Cgil Luigino Denardo, mercoledì prossimo s’incontreranno le Rsu di tutti i diciassette stabilimenti dell’Italcementi. «Magari potremmo capire – ha evidenziato il sindacalista – perché debba chiudere Vibo e non altri». Tema interessante. 
La «benedizione» del vescovo e la «preghiera ad una responsabilità condivisa» prima delle conclusioni del prefetto, che ha operato una sintesi, ha invitato gli operai che da una settimana ormai sono arroccati sul silo del fabbrica a cessare la protesta ed ha aggiornato ad un nuovo incontro. «Questo non è stato un tavolo tecnico, lo sarà il prossimo». Come dire: l’Italcementi faccia il suo studio, nel frattempo vediamo se riusciamo a escogitare altro.
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