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CATANZARO, 5 LUG – Usura e racket colpirebbero oltre 40 mila commercianti e operatori economici calabresi, pari praticamente ad un terzo, il 38,5% dei quali non si sente assolutamente al sicuro e il 18,5% indica le estorsioni e l’usura tra i principali reati subiti nell’area in cui opera. Tuttavia, ben il 74,9% ribadisce la volontà di non arrendersi. Sono alcune delle stime contenute nel libro “L’impero della ‘Ndrangheta” scritto dalla parlamentare Dorina Bianchi e dall’economista Raffaele Rio.
Per il 70% degli intervistati le aziende calabresi sono vittime di vessazioni, imposizioni o di reati di vario tipo. Furti (23,6%), estorsioni e usura (18,5%), danneggiamenti (7,7%) sono i reati di cui si sente maggiormente parlare, ma non manca chi, fra gli intervistati, denuncia forme alternative di controllo della criminalità quali imposizioni di manodopera, forniture e merci, attentati dinamitardi.
Quasi quattro intervistati su dieci (38,5%) risponde di non sentirsi assolutamente al sicuro in considerazione dell’elevata diffusione delle attività criminali. Il 35,1% si sentono abbastanza sicuri ma fanno rilevare che le attività criminali sono evidenti pur se piuttosto rare. Solo per il 15,2% del campione l’area territoriale in cui opera risulta molto sicura.
La ‘ndrangheta, è l’analisi del volume, è percepita come una componente “normale” dal mondo produttivo e più in generale della realtà in cui si opera, una forza talmente radicata e diffusa in alcune zone, da creare una sorta di assuefazione che condiziona le percezioni degli stessi imprenditori. Si arriva alla situazione paradossale per cui l’insieme delle attività vessatorie sembrano costituire uno scenario inevitabile.
Di fronte a questo quadro, tuttavia, la quasi totalità degli intervistati (74,9%) non sembra intimidita, mostrando fermezza e ribadendo la volontà di non arrendersi e di continuare a lavorare nella propria terra di origine, non considerando, dunque, nemmeno lontanamente l’idea di trasferire o chiudere. Deve comunque far riflettere, sostengono Raffaele Rio e Dorina Bianchi, che un 13,3% del campione ha deciso di trasferirsi o di chiudere (3,2%) o che sta considerando l’ipotesi di lasciare la Calabria e iniziare altrove l’attività o farla cessare (10,1%).

CATANZARO – Usura e racket colpirebbero oltre 40 mila commercianti e operatori economici calabresi, pari praticamente ad un terzo, il 38,5% dei quali non si sente assolutamente al sicuro e il 18,5% indica le estorsioni e l’usura tra i principali reati subiti nell’area in cui opera. Tuttavia, ben il 74,9% ribadisce la volontà di non arrendersi. Sono alcune delle stime di un’inchiesta Demoskopica contenute nel libro “L’impero della ‘Ndrangheta” scritto dalla parlamentare Dorina Bianchi e dall’economista Raffaele Rio. L’indagine stima una perdita annua della ricchezza pari a circa il 3,5% del prodotto interno lordo calabrese con una mancata crescita economica per 1,2 miliardi di euro legata all’incidenza della ‘ndrangheta.

Per il 70% degli intervistati le aziende calabresi sono vittime di vessazioni, imposizioni o di reati di vario tipo. Furti (23,6%), estorsioni e usura (18,5%), danneggiamenti (7,7%) sono i reati di cui si sente maggiormente parlare, ma non manca chi, fra gli intervistati, denuncia forme alternative di controllo della criminalità quali imposizioni di manodopera, forniture e merci, attentati dinamitardi.

Quasi quattro intervistati su dieci (38,5%) risponde di non sentirsi assolutamente al sicuro in considerazione dell’elevata diffusione delle attività criminali. Il 35,1% si sentono abbastanza sicuri ma fanno rilevare che le attività criminali sono evidenti pur se piuttosto rare. Solo per il 15,2% del campione l’area territoriale in cui opera risulta molto sicura. La ‘ndrangheta, è l’analisi del volume, è percepita come una componente “normale” dal mondo produttivo e più in generale della realtà in cui si opera, una forza talmente radicata e diffusa in alcune zone, da creare una sorta di assuefazione che condiziona le percezioni degli stessi imprenditori. Si arriva alla situazione paradossale per cui l’insieme delle attività vessatorie sembrano costituire uno scenario inevitabile. Deve comunque far riflettere, sostengono Raffaele Rio e Dorina Bianchi, che un 13,3% del campione ha deciso di trasferirsi o di chiudere (3,2%) o che sta considerando l’ipotesi di lasciare la Calabria e iniziare altrove l’attività o farla cessare (10,1%).

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