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“L’acquisizione di Loro Piana da parte di LVHM è solo l’ultimo esempio in ordine di tempo di quello che sta avvenendo ormai da troppi anni: è la logica conclusione dell’assenza di una seria politica di sviluppo industriale dell’Italia”. A scriverlo, in una lettera all’Huffington Post, è un top manager della moda italiana, un uomo che è arrivato  dalla Calabria e che ha portato il suo marchio del bassotto sui mercati di tutto il mondo. Domenico Menniti è presidente e amministratore delegato di Harmont & Blaine spa, azienda che produce, commercializza e distribuisce abbigliamento sportivo di classe. L’ha fondata nel 1986 insieme al fratello Enzo e a Paolo e Massimo Montefusco.

Partirono a Napoli con le cravatte della tradizione partenopea. Poi l’abbigliamento da mare, camicie, pantaloni e i caratteristici golf. E oggi fatturano quasi 100 di milioni di euro con circa 500 dipendenti diretti, presenza in quattro continenti. “Testardamente attestati nel Mezzogiorno d’Italia, a confrontarci quotidianamente con un player internazionale che fattura 6 miliardi di dollari”, scrive Menniti all’Huffington. 

Una sfida nella quale l’imprenditore va avanti con testardaggine calabrese. Anche su twitter rivendica le sue origini a Catanzaro, dove è nato nel 1947. Ma davanti all’ultima mossa del mercato della moda, con l’acquisizione da parte dei francesi di Luis Vuitton del marchio Loro Piana, proprio sui social scrive: “Vuitton conquista LoroPiana dopo Cova e Bulgari. Imprenditori Italiani stanchi di combattere. Politica resta a guardare”.

E nella lettera all’Huffington  (LEGGI IL TESTO INTEGRALE) lancia l’interrogativo: “Come potremmo noi non comprendere il travaglio dei fratelli Loro Piana nell’assumere la più difficile ed irreversibile decisione della storia centenaria dell’azienda. Resistere portando avanti la bandiera della Italianità totale o trovare alleanze per garantire la continuità dello storico brand, il rafforzamento dell’azienda ed una migliore capacità di penetrare i mercati mondiali?”.

La risposta è articolata: “Forse la sicurezza che poi le bellezze naturali, il patrimonio artistico più importante del mondo ci hanno cullato nella certezza che tutto si sarebbe risistemato, che le nostre inefficienze sarebbero state compensate da altri valori che solo noi italiani possedevamo. No, non è così. Lo shopping continua, la produzione resterà forse in Italia ma altrove andrà il valore aggiunto, quello che genera capacità di comunicazione e di investimento”. Da qui l’appello: “Facciamo qualcosa, tutti assieme, se non vogliamo che l’Italia resti un guscio vuoto, una bella conchiglia su una spiaggia deserta”.

Redazione web

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