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CATANZARO – «Da giorni peschiamo solo rami, tronchi, pezzi di tubature, scaldabagni e frigoriferi». Sembra una battuta e invece è la drammatica situazione denunciata dai pescatori di Catanzaro, disperati per le condizioni del mare che, dopo l’alluvione dei giorni scorsi si è riempito di ogni sorta di rifiuto. Con gravi danni all’attività e alla sopravvivenza delle loro famiglie dell’intero indotto. «Abbiamo provato più di una volta, in questa settimana, a uscire a pesca – dice l’armatore Antonio Lamonica – ma ogni volta siamo rientrati con le reti completamente strappate e piene solo di rami, tronchi, o rifiuti ingombranti portati in mare dalle piene dei fiumi che si sono verificate in questa settimana. Non solo non peschiamo nulla, ma per ogni uscita dobbiamo lavorare diversi giorni per ripulire le reti e rattopparle». Il porto di Catanzaro è completamente invaso di detriti, di vegetazione, di rifiuti. Sulla banchina del molo l’equipaggio di un peschereccio ha scaricato un pesante pezzo di tubatura, lungo almeno quattro metri, che il giorno prima è rimasto impigliato nella rete, danneggiandola. 

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«Ogni giorno così – spiegano gli armatori e gli equipaggi della flotta di pescherecci di Catanzaro Lido – causa migliaia e migliaia di euro di danni alle attrezzature, di spese di gestione, e di mancato introito». «E senza pescato non possiamo dare da vivere alle nostre famiglie». Nei giorni scorsi il presidente della giunta regionale e il sottosegretario con delega alla Protezione civile hanno annunciato che chiederanno al governo centrale il riconoscimento dello stato di calamità naturale per diverse zone del territorio calabrese, tra le quali, il catanzarese che è risultato il più colpito da questa prima ondata di maltempo.«Chiediamo perciò – dicono i pescatori di Catanzaro – che nel valutare di danni e offrire ristoro ai settori colpiti, la Regione consideri anche gli effetti meno visibili, ma altrettanto gravi, delle alluvioni, quelli che riguardano il mare e che colpiscono in modo pesante anche la marineria, che è già afflitta da costi pesanti, bassi ricavi e fermi biologici». 

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