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CATANZARO – La Calabria è la regione più povera d’Italia. Al punto che un valdostano ha prodotto nel 2013 oltre 18mila euro in più di un calabrese. Sono drammatici i dati economici proposti dal rapporto Svimez, secondo il quale la situazione della nostra regione è particolarmente grave. 

E non basta il pessimo dato del prodotto interno lordo, perché a questo si aggiunge un andamento negativo. A partire dai dati dell’occupazione, con donne e giovani in particolare difficoltà, così come sono diventate ianudite le divergenze tra Nord e Sud. 

LA POVERTA’ E’ IN CALABRIA – «In termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno nel 2013 è sceso al 56,6% del valore del Centro Nord, tornando ai livelli del 2003, con un Pil pro capite pari a 16.888 euro». Mentre – emerge dal rapporto Svimez 2014 – «in valori assoluti, a livello nazionale, il Pil è stato di 25.457 euro, risultante dalla media tra i 29.837 euro del Centro-Nord e i 16.888 del Mezzogiorno».

Così «nel 2013 la regione più ricca è stata la Valle d’Aosta, con 34.442 euro, seguita dal Trentino Alto Adige 34.170), dalla Lombardia (33.055), l’Emilia Romagna (31.239 euro) e Lazio (29.379 euro)”; Nel Mezzogiorno «la regione con il Pil pro capite più elevato è stata l’Abruzzo (21.845 euro). Seguono il Molise (19.374), la Sardegna (18.620), la Basilicata (17.006 euro), la Puglia (16.512), la Campania (16.291), la Sicilia (16.152). La regione più povera è la Calabria, con 15.989 euro».  

IL LAVORO CHE NON C’E’ – «Le tendenze più recenti segnalano che al Sud si concentra oltre l’80% delle perdite dei posti di lavoro italiani», evidenzia il rapporto Svimez: il 2013 ancora in calo «riporta il numero degli occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni», il livello più basso delle serie storiche, disponibili dal 1977. Il Mezzogiorno – scrive Svimez – tra il 2008 ed il 2013 registra una caduta dell’occupazione del 9%, a fronte del -2,4% del Centro-Nord. Delle 985mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 583mila sono residenti nel Mezzogiorno: “nel Sud, dunque, pur essendo presente appena il 26% degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite determinate dalla crisi».

Nel 2013 «sono andati persi 478mila posti di lavoro in Italia, di cui 282mila al Sud. Posti di lavoro persi soprattutto tra i lavoratori giovani under 34 e al Sud (-12% contro il -6,9% del Centro-Nord)». Il livello degli occupati, sceso sotto la soglia psicologica dei sei milioni, «testimonia, da un lato, il processo di crescita mai decollato, e, dall’altro, il livello di smottamento del mercato del lavoro meridionale e la modifica della geografia del lavoro. Non va meglio nell’ultimo periodo: tra il primo trimestre del 2013 e quello del 2014 gli occupati scendono di 170mila unità nel Sud e di 41mila al Centro-Nord”: sono queste tendenze «più recenti» a indicare che «al Sud si concentra oltre l’80% delle perdite dei posti di lavoro italiani».

IMPENNATA DELLA DISOCCUPAZIONE – Lo Svimez segnala anche «l’aumento del tasso di disoccupazione. Quello «ufficiale» nel 2013 è stato del 19,7% al Sud e del 9,1% al Centro-Nord, a testimonianza del permanente squilibrio strutturale del nostro mercato del lavoro».
Le donne continuano a lavorare poco: «Nel 2013 a fronte di un tasso di attività femminile medio del 66% in Europa a 28, che arriva all’83% in Finlandia, se l’Emilia Romagna è perfettamente allineata con la media europea, le regioni del Mezzogiorno vanno peggio di Malta e della Romania (che registrano tassi di attività femminile rispettivamente del 50% e del 48,4%), scendendo fino al 38% in Puglia, il 37% in Calabria e Campania, il 35% in Sicilia».
E, avverte il rapporto, «piove inoltre sempre sul bagnato: nel 2013 chi non ha un lavoro stabile rischia di più di
perderlo. Il 16,4% dei lavoratori che nel primo trimestre 2012 avevano un contratto di lavoro atipico, un anno dopo, nel 2013, erano diventati disoccupati (di cui il 12,8% al Centro-Nord e il doppio al Sud, 25,3%). In più, rispetto alla media europea a 27 del 75,3%, i giovani diplomati e laureati italiani presentano un tasso di occupazione di circa 27 punti più basso, pari al 48,3%». 

LE DIVERGENZE ITALIANE – E’ un Paese «spaccato», «diviso e diseguale dove il sud scivola sempre più nell’arretramento” quello che emerge dal rapporto Svimez. Il Pil del Sud nel 2013 è “crollato del 3,5% contro il -1,4% del centro Nord; negli anni di crisi 2008-2013 «il Sud ha perso il 13,3% con il 7%». Il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 10 anni fa. Lo Svimez calcola che «nel 2013 il Pil è crollato nel Mezzogiorno del 3,5%, approfondendo la flessione dell’anno precedente (-3,2%), con un calo superiore di quasi due percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4%)». Ed è “per il sesto anno consecutivo» che il Pil del Mezzogiorno “registra segno negativo, a testimonianza della criticità dell’area». 
Anche gli andamenti di lungo periodo «confermano un Paese spaccato e diseguale: negli anni di crisi 2008-2013 il Sud ha perso -13,3% contro il 7% del Centro-Nord».
A livello regionale nel 2013 il segno è negativo per tutte le regioni italiane, a eccezione del Trentino alto Adige (+1,3%) e della stazionaria Toscana (0%). Anche le regioni del Centro-Nord, sono tornate a segnare cali significativi, come l’Emilia Romagna (-1,5%), il Piemonte (-2,6%), il veneto (-3,6%), fino alla Valle d’Aosta (-4,4%). Nel Mezzogiorno la forbice resta compresa tra il -1,8% dell’Abruzzo e il -6% della Basilicata, fanalino di coda nazionale. In posizione intermedia la Campania (-2,1%), la Sicilia (-2,7%), il Molise (-3,2%). Giù anche Sardegna (-4,4%) , Calabria (-5%) e Puglia (-5,6%). 

PEGGIO DELLA GRECIA – «Guardando agli anni della crisi, dal 2008 al 2013 – si legge nel rapporto Svimez -, profonde difficoltà restano soprattutto in Basilicata e Molise, che segnano cali cumulati superiori al 16%, accanto alla Puglia (-14,3%), la Sicilia (-14,6%) e la Calabria (-13,3%). Nel periodo 2001-2013 l’Italia è andata «peggio della Grecia», «il tasso di crescita cumulato è stato +15% in Germania, +19% in Spagna, +14,3% in Francia. Segno positivo perfino in Grecia, +1,6%. Negativa l’Italia, con -0,2%, tirata giù sostanzialmente dal Mezzogiorno, che perde oltre il 7%, contro il +2% del Centro-Nord». 

Nel periodo 2008-2013 «la caduta cumulata dei consumi delle famiglie ha sfiorato nel Mezzogiorno i 13 punti percentuali (-12,7%), risultando di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,7%)”; gli investimenti fissi lordi «sono crollati del 33% nel Mezzogiorno e del 24,5% nel Centro-Nord”: quelli nell’industria si sono ridotti «addirittura del 53,4%, più del doppio rispetto al già pesante calo del Centro-Nord (-24,6%). Giù anche gli investimenti nelle costruzioni, con un calo cumulato del -26,7% al Sud e del -38,4% al Centro-Nord, ed in agricoltura, (-44,6% al Sud, quasi tre volte più del Centro-Nord, -14,5%)». Ed è «ancora in calo la spesa pubblica per investimenti al Sud: nel 2012 la spesa aggiuntiva per il Sud è scesa al 67,3% del totale nazionale, ben al di sotto della quota dell’80% fissata per la ripartizione delle risorse aggiuntive tra aree depresse del Centro-Nord e del Sud del Paese». E sono «particolarmente preoccupanti i tagli agli investimenti in infrastrutture».

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