X
<
>

Condividi:
2 minuti per la lettura

 

IL lavoro sommerso incide per il 32% nel comparto agricoltura italiano. Il dato si riferisce ai primi sei mesi del 2014. Lo riferisce l’indagine #Sottoterra, commissionata e pubblicata da Uila, Unione italiana lavori agroalimentari, e Eurispes. Il dato percentuale è in peggioramento: 27,5% nel 2011, 29,5% nel 2012, 31,7% nel 2013. 

I dati del rapporto sono sintomatici rispetto al momento di crisi vissuto dal mondo del lavoro italiano: l’economia sommersa nel nostro Paese ha generato a partire dal 2007 almeno 549 miliardi di euro l’anno. Al Mezzogiorno, le unità di lavoro non regolari superano il 25% del totale, con Campania e Calabria in testa. La maggior parte di questi è formata da stranieri, ma non mancano operai italiani giunti nelle campagne dopo chiusure di fabbriche e aziende o licenziamenti improvvisi.

Si tratta di operai, ma anche di figure ex impiegatizie, italiani approdati nel settore agricolo per necessità, dopo la chiusura di fabbriche, imprese o dopo un licenziamento o una drastica riduzione dello stipendio. E per loro, però, secondo Eurispes si prospettano salari da braccianti in regime di semi schiavitù.

Le paghe sono ben al di sotto di quanto previsto dai contratti nazionali e decisamente misere rispetto all’impegno richiesto. C’è chi riceve 20 euro al giorno in nero, per 12 ore al giorno di lavoro nei campi dall’alba al tramonto, corrispondenti a 1,60 euro l’ora, un quinto del minimo sindacale, chi 1,90 euro l’ora dalle 5 della sera alle 5 del mattino, chi 35 euro al giorno per raccogliere le ciliegie o 38-40 euro al giorno come bracciante nei campi. “I lavoratori in nero dei campi di tanta parte del territorio italiano – si legge nel dossier – sono dunque i nuovi schiavi. Isolati ed invisibili, vivono spesso in baraccopoli che costituiscono veri e propri ghetti”.

Secondo il segretario generale della Uila Stefano Mantegazza, “i dati della ricerca mostrano che il lavoro nero e irregolare rappresenta per l’Italia, molto più che per gli altri paesi europei, una realtà grave e di ampia dimensione con la quale il Paese deve fare i conti e deve farli in fretta. Non possiamo permetterci di presentarci all’appuntamento di Expo 2015 con un’agricoltura che nel definirsi ‘di qualita”, nasconde dietro di sè un’incidenza di oltre il 30% di lavoro nero o irregolare”.

 “Occorre – continua Mantegazza – che governo e parlamento diano un segnale forte e chiaro in tal senso, trasformando in legge la proposta unitaria di Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil, che mira a realizzare una ‘rete del lavoro agricolò per promuovere e gestire l’incontro domanda-offerta di lavoro in un quadro di trasparenza e incentivazione per le imprese virtuose”. 

 

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE