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COSENZA – Il Pil della Calabria è in crescita millimetrica, ma solo perché c’è l’agricoltura a fare da traino. (LEGGI LO SPECIALE SULL’AGRICOLTURA IN CALABRIA)

È il primo dato sulle rilevazioni Svimez sullo stato della nostra regione. Una performance definita “eccezionale” sul fronte agricolo, che nei primi due trimestri del 2015 e del 2016 è riuscito ad aumentare il suo capitale umano nel settore del 16,4%. Ma con un Pil pro capite di 16mila 658,9 euro la Calabria resta la regione più povera d’Italia assieme alla Puglia. Ora, questo piccolo 1,1% va in ogni caso contestualizzato. Dal 2008 al 2014 il prodotto interno lordo calabrese è letteralmente precipitato del 14,1%. Restiamo, quindi, ben lontani dalla tanto agognata ripresa. Gli altri settori produttivi sembrano avere qualche momento di gloria. Sul piano industriale il settore “in senso stretto”, ossia l’intero apparato meccanico, tessile chimico e alimentare sale dell’1,7, boom invece per le costruzioni che segna un più 13,3. Turismo e servizi alberghieri crescono dell1,1 mentre i restanti servizi sono a +1,7. E’ chiaro che il livello di competitività della Calabria, assieme a Basilicata, Campania, Puglia e Sicilia è ancora molto basso.

Attualmente il gruppo di regioni è al tredicesimo posto della graduatoria. Risultiamo dunque soltanto più competitivi di Bulgaria, Romania e Grecia. Andando poi a vedere le cifre le questioni sono queste: su una popolazione di quasi due milioni di persone (1 milione 970,5 per essere precisi) risultano occupate soltanto 515mila e 200 persone. Il tasso di occupazione è infatti molto basso: il 38,9%. e mentre gli uomini con un lavoro sono circa il 50% le donne restano ferme al 28,6%. Dunque il tasso di disoccupazione “ufficiale” si attesta al 22,9%, quello maschile al 22,5 e il femminile al 23,7%. Ma a preoccupare è quello dei giovani entro i 24 anni: il 65,1% di loro non svolge un lavoro. A fronte di questo va anche segnalato un abbassamento del 4,1% del tasso di disoccupazione tra il 2014 e il 2015 mentre 204mila ragazzi attualmente non studiano e non lavorano. C’è quindi una percentuale di individui a rischio povertà che arriva al 24% della popolazione totale, mentre il 35,1% si trova nella fascia di reddito più povere. E dunque le famiglie in stato di povertà nel 2015 ammontano al 28,2%. E poi c’è il problema della fuga di cervelli. I giovani laureati al Mezzogiorno continuano a muoversi verso il Nord e l’estero, perché da queste parti mancano le opportunità necessarie. Niente di nuovo, o quasi, sotto il sole.

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