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di DOMENICO NICOLÒ*

QUESTA fase storica è caratterizzata da una grande recessione che è iniziata agli inizi del nuovo millennio e che sembra non avere fine, acuita adesso dalla crisi epidemiologica globale. Le politiche di coesione e crescita dell’Unione Europea e le misure di finanza agevolata attuate delle agenzie nazionali di promozione dello sviluppo e dalle regioni per favorire la nascita di imprese innovative non sono ancora riuscite, se non in alcune aree, a colmare il ritardo di sviluppo del Sud Italia. In questo contesto che desta grande preoccupazione, soprattutto per i riflessi sull’occupazione (in particolare quella giovanile), si osservano segnali in contro tendenza anche (anzi soprattutto) al Sud che sono incoraggianti e che indicano una traiettoria da seguire, un modello da imitare e replicare su più grande scala: le imprese “gazzella”.

Queste imprese, alcune delle quali assumono anche la connotazione di impresa familiare, rispondono alle sfide della globalizzazione rilanciando una cultura imprenditoriale che valorizza le risorse locali, preziose per innescare circuiti produttivi che possono rivitalizzare anche territori come i borghi calabresi dalle forti potenzialità inespresse. Le imprese che nascono non hanno vita facile e molte di esse chiudono i battenti nel primo stadio di vita. Il fenomeno dell’elevata vulnerabilità delle imprese giovani è comune alle aziende di tutte le nazione, indipendentemente dal settore di attività.

Nei vari paesi, infatti, i tassi di sopravvivenza delle aziende a cinque anni dalla nascita sono assai modesti e si aggirano intorno al 40-50%. In Italia questo tasso di sopravvivenza è stato in media del 47,4% per quelle nate tra il 2003 e il 2011. Ancora più critico è il primo anno di vita giacché un’azienda su quattro cessa di esistere nei primi mesi di vita. Le cause di una così elevata vulnerabilità delle imprese giovani sono molteplici.

Tra le principali possiamo ricordare:

  • la carenza di reputazione dei fondatori, che rende difficile creare un legame solido con lavoratori, finanziatori, fornitori, distributori, azionisti. La conseguenza è che alle prime difficoltà questi legami si recidono e l’impresa collassa su se stessa per mancanza delle risorse necessarie per svolgere la propria attività;
  • la carenza di esperienza, competenza e attitudine all’imprenditorialità dei fondatori che non sono all’altezza del difficile compito che sono chiamati ad assolvere;
  • l’insufficienza di risorse finanziarie, che non consente di attendere una positiva risposta del mercato;
  • la mancanza di qualche elemento di superiorità rispetto ai concorrenti sul quale puntare per conquistare un vantaggio competitivo.

È chiaro che per realizzare lo sviluppo economico non basti promuovere la nascita di imprese, occorre anche contrastare le cause della loro elevata vulnerabilità nel corso del primo stadio di vita. A tal fine un ruolo cruciale deve essere svolto dalle università e dalle scuole d’impresa che devono promuovere la diffusione di una cultura d’impresa funzionale alla sopravvivenza e allo sviluppo delle aziende.

Tra le aziende che sopravvivono all’impatto con il mercato, vi sono alcune, circa l’1% del totale di quelle che nascono nel nostro paese, che intraprendono subito un percorso di crescita che le porta a diventare “gazzelle”, così come sono definite da Eurostat e da ISTAT le imprese costituite da non più di 4 anni, che hanno almeno 10 addetti e il cui fatturato e/o numero di dipendenti cresce mediamente ad un tasso superiore al 20% per 3 anni consecutivi.

Nostre ricerche sulla competitività delle imprese giovani, condotte analizzando i bilanci, hanno confermato quanto già posto in luce dall’ISTAT e cioè che le gazzelle sono leggermente più diffuse al Sud (1,6% del totale) che al Nord-Ovest (0,8%), al Nord-Est (0,6%) e al Centro (0,8%) e che la maggior parte di esse assume la connotazione di impresa familiare, perché controllata da un individuo o da una famiglia. Queste evidenze sfatano miti che si fondano su convincimenti diffusi assai radicati nell’opinione pubblica e tra gli studiosi quali, ad esempio:

  • le imprese giovani sono molto fragili;
  • le imprese crescono poco nei primi anni di vita perché la conquista di clienti richiede tempo;
  • le imprese del Mezzogiorno d’Italia sono poco competitive e crescono a tassi modesti;
  • le imprese familiari tendono a crescere lentamente perché sono poco inclini ad aprire il capitale di rischio e il management ad estranei.

Per dare vita ad imprese competitive è necessario quindi mettere a fuoco le caratteristiche tipiche di queste gazzelle, le loro note relativamente costanti, e assumerle come modello di riferimento per progettare imprese che, già nella fase prenatale, non soltanto siano immuni dai vizi genetici che rendono assai fragili le imprese giovani, ma anche che abbiano un elevato potenziale di sviluppo fin dai primi anni di vita.

Nelle regioni euro-mediterranee, infatti, non è possibile assumere come riferimento, per tentare di replicarle, le startup innovative ad alta crescita diffuse nel mondo anglo-sassone nel Centro-Nord Europa, in Israele, in Cina e nel Sud-Est asiatico. Queste startup crescono a tassi molto elevati su base internazionale sfruttando un modello di business replicabile, in settori ad elevata tecnologia, facendo ampio ricorso alle risorse di Internet ed utilizzando ingenti capitali del private equity (venture capital e business angel).

In quelle aree geografiche gli startupper mirano ad una rapida quotazione in borsa per disinvestire e realizzare un guadagno. Questo modello di impresa ad alta crescita è poco diffuso nei sistemi economici dell’area euro-mediterranea, evidentemente perché questi sistemi economici presentano caratteristiche sociali ed istituzionali profondamente diverse da quelle dei contesti nei quali queste startup sono diffuse. In quest’area operano quasi esclusivamente imprese familiari, in gran parte di dimensioni minori, gestite direttamente dal fondatore, sovente con l’aiuto dei suoi familiari. Dato che le gazzelle italiane presentano caratteri eterogenei l’una dall’altra per quanto attiene al settore di attività, alla composizione della governance, alla tipologia dei processi svolti, alle forme organizzative adottate, ciò che da esse può essere tratto come modello di riferimento è senz’altro i valori che ispirano l’azione del management e le strategie adottate.

La ricerca in corso, pertanto, oltre ad indagare le caratteristiche della struttura finanziaria e l’andamento economico di più coorti di gazzelle, punta ad esplicitare questi elementi soft, cioè i valori imprenditoriali dei loro fondatori e le strategie che adottano per entrare nel settore e puntare al vantaggio competitivo. Porre il cliente al centro delle proprie attenzioni, considerare i lavoratori come una risorsa preziosa ai fini del conseguimento e della difesa del vantaggio competitivo, perseguire il miglioramento continuo dei prodotti e dei processi, assumere una visione del profitto come obiettivo da massimizzare nel medio-lungo termine e non nel breve periodo, considerare i fornitori e i distributori come partner strategici con i quali attivare relazioni basate sulla logica dei giochi collaborativi a somma maggiore di zero, costituiscono alcuni dei tratti distintivi della cultura imprenditoriale delle imprese eccellenti.

Queste aziende, inoltre, assumono il reddito non come un fine ma come un mezzo per sostenere la crescita e, al tempo stesso, contemperare gli interessi di tutti i partecipanti, perseguendo così il bene comune. Si tratta di verificare se questi valori ispirano la gestione delle gazzelle italiane. L’ipotesi che si intende verificare è, in altri termini, se il tratto comune delle gazzelle italiane risieda nei valori imprenditoriali dei loro fondatori e nelle strategie che essi adottano per competere. Su questo tema di ricerca sono impegnati due laboratori dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, il ReTMES sulla creazione d’impresa e le startup e il CLUDs per l’alta formazione e la ricerca nell’ambito dello sviluppo urbano sostenibile.

*Professore ordinario di economia aziendale
e coordinatore del laboratorio ReTMES
sulla creazione d’impresa e le startup
dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

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