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LA manifestazione di ieri in piazza a Catanzaro a sostegno del procuratore distrettuale antimafia Nicola Gratteri (LEGGI) è un evento da non archiviare.

Intanto, è (è stato) un evento, perché in piazza si scende sempre meno e anche quando lo si fa – in circostanze del tutto diverse – per l’attrazione fatale della propaganda, la folla è sempre più social e sempre meno “fisica”.

Poi si entra nel merito, con qualche premessa.

Prima: in un Paese sano scendere in piazza a sostegno di un pubblico ministero non è una cosa normale.

Seconda: non lo è non solo perché si trarrebbe l’impressione di un’aspirazione giustizialista senza se e senza ma; non è, anzi non sarebbe, una cosa normale perché in un Paese che funziona, un pubblico ministero, sia pure di livello altissimo quale è (per la sua storia e per quello che fa) Nicola Gratteri, non dovrebbe “avere bisogno” di sostegno, se non tacito e totale, per fare il suo lavoro. Ma questo non è un Paese normale.

Un inciso: se volessimo cavarcela con un pensiero che non arrivi al rango di riflessione, potremmo dire che la Giustizia (cosa delicatissima, in un Paese che funzioni) non è la Politica, non può e non deve avere bisogno di consensi di piazza. Può essere, per carità, oggetto di critiche e anche di apprezzamenti, ma andrebbe rispettata non con le parole ma con un atteggiamento di silenziosa fiducia.

Detto tutto questo, e sgomberato il campo da un assunto ovvio (cioè che tra il bene e il male si sceglie il bene) e da un’altra considerazione forse meno ovvia (i pm, come il procuratore Gratteri, fanno il loro lavoro – e se lo fanno, come nel suo caso, con innegabile passione, tanto di cappello – e poi le sentenze le emettono i giudici), la fotografia della piazza di Catanzaro dice altro.

Dice, per esempio, che la gente è avvilita perché molte cose in questa terra non vanno (la Calabria in questo caso, ma la lente potrebbe allargarsi su confini territoriali ben più vasti), è esasperata perché a fronte di servizi minimi inesistenti assiste ad un quadro di malaffare che non ha bisogno della certificazione di una sentenza definitiva, è incredula davanti a meccanismi distorti (aspetto penale e giù a seguire quello etico o viceversa, come si voglia), che emergono nella gestione di quelle componenti del Paese che dovrebbero essere di “garanzia”, di sicurezza, che dovrebbero, insomma, infondere fiducia: politica, pubblica amministrazione anche nelle esplicazioni più “vicine” ai cittadini, e anche magistratura. Non è questione di fare processi mediatici, è questione di fondamenta pubbliche scalcinate fino al ferro.

È sempre bene ribadirlo, proprio per il rispetto che si deve al lavoro di magistrati come Gratteri: se un politico, un giudice, un amministratore finisce sui giornali per episodi oscuri, e se ci sono elementi che, anche al di là di un eventuale accertamento della responsabilità sul piano penale, lasciano concludere che – anche “solo” sul piano etico – certi meccanismi fanno schifo, le cose non vanno. E qui non vanno. Alimentano il clima di sfiducia in persone che già vivono male la quotidianità, perché pezzi fondamentali dello Stato perdono giorno dopo giorno quella cosetta che si chiama credibilità.

E allora, di fronte a uno come Gratteri che fa il suo lavoro con uno slancio incontestabile (che non viene scalfito minimamente neanche da qualche espressione forte), il sostegno a lui e a chi come lui opera con coraggio senza lesinare energie è doveroso. Doveroso. Gratteri è persona accorta, non c’è neppure il rischio che si faccia tirare per la giacchetta dalla politica. E se avesse bisogno di sapere che non è solo, sappia che accanto ai duemila della piazza di Catanzaro c’è un esercito molto nutrito e silenzioso di calabresi onesti che, pur senza standing ovation, ha la pelle d’oca quando un uomo dello Stato viene beccato con una bustarella. E che quindi sa bene se ammiccare a questi vortici di malaffare e di corruzione che ci passano davanti come i frame di un video dell’oggi o stare dalla parte di chi fa il suo lavoro di magistrato, come Gratteri, senza sconti per nessuno. Senza dimenticare mai che quella malapianta della ’ndrangheta, spesso abbinata o comunque vicina a quell’altro nauseabondo fenomeno della corruzione, ha ridotto questa terra al lumicino.

Le sentenze lasciamole ai Tribunali, le considerazioni etiche ognuno se le faccia in testa. Nello sfascio politico-sociale (e molto altro), quello che oggi serve come il pane è la credibilità dei tanti volti dello Stato.

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