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Le ambulanze in coda davanti all'Annunziata di Cosenza

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L’immagine di due giorni fa delle ambulanze in coda davanti al Pronto soccorso di Cosenza con pazienti Covid dà l’idea del momento difficile che stiamo vivendo per la prevista seconda ondata della pandemia. In Italia così come in Calabria, dove si sta verificando ciò che si temeva, cioè l’impatto sul debole sistema sanitario. E tutto ciò accade mentre ad ogni livello si percepisce la necessità di un pronto soccorso da parte del buon senso.

Quando, nei primi mesi di quest’anno, il Covid 19 ha travolto le nostre vite e molte nostre certezze fragili come fili di vetro, la Calabria ha retto, molto meglio (in termini di ricoveri e decessi) che in gran parte del resto d’Italia.

Era quello il tempo dello shock, della paura, delle mascherine introvabili, dell’alcol sparito da tutti i negozi, era il tempo soprattutto delle competenze sanitarie che, al di là delle incertezze legate al dover affrontare un “nemico” nuovo, hanno guidato a livello centrale scelte nette. La politica delle parole si era messa da parte.

Oggi, dopo l’estate delle vacanze, della libertà, di una normalità che sapevamo essere solo una parvenza, è arrivata quella seconda ondata della pandemia che speravamo fosse solo una previsione sbagliata.

E le inefficienze non riparate per tempo del sistema sanitario regionale sono venute allo scoperto, in uno scenario nazionale, peraltro, molto diverso da quello dei primi mesi dell’anno. Il turbinio delle danze mediatiche ha contagiato, più di prima, anche molti virologi (e questi teatrini fanno il loro effetto). La politica delle parole è tornata sul palco. Da più parti si utilizzano i dati sulla diffusione del contagio interpretandoli a supporto di posizioni di principio.

E giù parole, decisioni non prese o peggio delegate per trasferire su altri, secondo uno dei meccanismi più vecchi del mondo, la responsabilità del possibile dissenso. Sono stati persi mesi per cercare di rattoppare un sistema sanitario che non può fare affidamento solo sui sacrifici degli operatori. Le foto di medici e infermieri stremati dopo turni prolungati e massacranti, che in quei primi mesi dell’emergenza stringevano il cuore, oggi dovrebbero provocare solo una composta, sommessa rabbia civile.

Tutto questo mentre la paura della sanità che non regge, in Calabria (ma non solo), è molto più forte di quella per lo stesso virus. Le aziende ospedaliere e sanitarie stanno adesso accelerando nell’attuare misure di potenziamento delle strutture, il vero grande punto critico per assicurare il controllo della pandemia. Se ci fossero resistenze, ritardi, ostacoli, si forzi la mano perché l’emergenza lo richiede.

A parte questo ci sono ancora tanti passi da fare, a partire da buchi neri (profondi come voragini) nell’assistenza domiciliare, nel tracciamento efficace dei contagi, nel consentire ai medici di famiglia di fare la loro parte, primo avamposto sul territorio, non lasciarli allo sbando (provate a chiedere al vostro medico).

Decine di scuole sono chiuse in tutte le province calabresi per casi di contagio tra insegnanti e alunni. E uno dei dibattiti più accesi a livello nazionale è proprio sulle scuole: da chiudere, da tenere aperte, da lasciare metà in presenza e metà con la Didattica a distanza…

Pochi gli studenti contagiati, no, bisogna verificare i contagi nelle famiglie, anzi no. Balletti ridicoli, a tratti surreali, come quando si dice che almeno elementari e medie devono restare aperte perché altrimenti molti genitori per andare a lavorare non saprebbero a chi lasciare i figli. Una splendida e innovativa concezione. Complimenti, sommessi ma sentiti.

La distanza tra le chiacchiere in Tv e la realtà della cronaca locale, che poi è il resoconto di quello che succede al nostro vicino di casa, è immensa. Così come appare molto lontana una dimensione efficace del controllo della pandemia. Sentire che una misura non è stata adottata per le pressioni provenienti da questi o quegli ambienti è fuori dal tempo, da questo tempo di emergenza totale. Tollerare che si vada in giro senza mascherina è un atteggiamento più grave di chi non la indossa, considerato che tra le poche certezze c’è quella sull’efficacia di mascherine, pulizia accurata delle mani e distanziamento.

Si recuperi subito il buon senso. E anche la capacità di capire che lasciare spazio al virus prolunga soltanto lo stato di sofferenza della società, della sua vita, della sua economia (che peraltro va sostenuta con maggiori risorse pubbliche, altrimenti il ritorno alla normalità, passata l’emergenza sanitaria, sarà sempre più una chimera).
E, per tornare alla Calabria, il presidente facente funzioni della Regione, Nino Spirlì, a cui tocca in questo momento la gestione dell’ente, al pari dei decisori nazionali, non si faccia vincolare dalle pressioni politiche.

In questo momento la gente, e vale qui come per tutto il Paese, ha bisogno di sapere di essere nelle mani di governanti di buon senso, non condizionati dalla politica delle parole. Quest’ultima se ne torni in un cantuccio, come in quei primi mesi dell’anno. Sparisca, sommessamente ma in fretta.

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