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Una corsia di ospedale

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La storia, che pubblichiamo oggi, di due medici americani che sono in procinto di trasferirsi a Sellia e quella, scritta un mese fa, di una coppia di giovani professionisti innamorati della Sila e pronti a far bagagli da Singapore sono due letture consigliate per chi aspira a sedere sulla poltrona di governatore della Calabria. Dicono tante cose, e altrettante ne stimolano.

Senza giri larghi e parole scontate su cosa questa terra offre in termini di bellezza e suggestioni, ma anche su iniziative lungimiranti di singoli, come quelle prese dal sindaco di Sellia che tanto hanno colpito la coppia di medici americani appena andati in pensione, è bene fare qualche semplice riflessione tra di noi.

Dieci, cinquecento, novantamila calabresi (o più) che si siedono attorno ad un tavolo virtuale e si dicono quattro cosette. Ed anzi, se il tempo è tiranno, è sufficiente affrontare una prima questione. Partendo, poiché di questione si tratta, da una semplice domanda: che tipo di assistenza sanitaria la Calabria è in grado di offrire a chi decida di venire a vivere qui? Che grado di “tranquillità” questa regione è in grado di assicurare a chi fosse visceralmente attratto da uno dei tantissimi borghi che in questa terra aspettano solo una iniezione di vitalità, offrendo in cambio una possibile dimensione di vita che una metropoli mondiale oggi probabilmente neppure ricorda?

È di tutta evidenza, o quantomeno dovrebbe esserlo, che solo un folle potrebbe aspirare a fare della Calabria una luogo attrattivo a livello internazionale o nazionale per chi decida di passare periodi più lunghi di una settimana in una casa fittata in nero o in un villaggio turistico senza pensare prima di tutto a quei servizi minimi essenziali che ti fanno, appunto, sentire tranquillo.

Che se sei in vacanza a Soverato, per esempio, e se tuo figlio ha un problema improvviso ad un orecchio devi tribolare, nonostante l’efficiente generosità dell’albergo in cui sei ospite, per trovare una risposta immediata al tuo problema dal punto di vista medico. Che se sei in villeggiatura in un comune della provincia di Cosenza e hai bisogno di una prima assistenza medica devi metterti in macchina perché la guardia medica è chiusa in quanto diversi medici del servizio hanno deciso di trovare altro perché le condizioni di lavoro, strutturali ma anche di sicurezza, non raggiungono la soglia della decenza. E quindi non tutte le guardie mediche possono rimanere aperte perché mancano gli operatori.

Cose che appartengono alla cronaca di questi giorni (ne ha scritto fino a ieri Valerio Panettieri), così come tanti altri tasselli dell’emergenza ordinaria della sanità in Calabria. Ma la questione è ben più ampia, perché la tranquillità, oltre che ai nuovi arrivati, deve essere assicurata – DEVE – a tante altre persone (1.877.728, tanti sono i residenti in Calabria secondo le ultime stime dell’Istat per il 2021).

Si capisce subito che non bastano i proclami del tipo “aboliremo il commissariamento della sanità in Calabria”. Si intuisce senza sforzi, per chi ne abbia umiltà, voglia e capacità, che qui è necessaria una visione moderna per un sistema sanitario vecchio e pieno di buchi, non solo nei conti. Medicina del territorio, telemedicina, adeguamento dei posti letto, un sistema che tenga conto dei tempi di intervento in base alla complicata orografia della regione… roba da esperti. Ma chi aspira a governare la Calabria farebbe bene a prepararsi per tempo, perché questa non è roba da programmare a lungo termine.

Da oltre un anno il Quotidiano ospita e alimenta un dibattito sui borghi, che ha avuto un contributo scientifico lungo e apprezzato da parte dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Anche questa è una lettura consigliata. Perché i borghi, come le città del resto, non possono più essere intesi come cose morte seppur bellissime, come scatti per una cartolina. I borghi, troppo spesso abbandonati, reclamano vita e offrono vivibilità. E anche le nostre città, le nostre montagne, il nostro mare reclamano rispetto e offrono tanto.

Noi calabresi, che non siamo tanto bravi a reclamare, avremmo bisogno di amministratori con visione, coraggio e capacità. Di tante cose, abbiamo necessità, tranne che di luoghi comuni.

Torniamo alla Calabria che potrebbe essere. Ha scritto, tra l’altro, qualche giorno fa su questo giornale Domenico Talia (“Vivere insieme negli “spazi umani” dei nostri borghi”): “… la spinta alla concentrazione urbana ci sta consegnando luoghi appartati, piccoli paesi e borghi storici dove anche chi è abituato o costretto alla vita metropolitana ritrova il piacere e il senso delle piccole e delle grandi cose. I questi luoghi “di scarto” si può apprezzare i rapporti distesi e densi di umanità, si godono i silenzi e la calma, il tempo lento e i saluti senza fretta. Lì si avvertono i cambiamenti legati alla natura, ci si accorge della presenza e dell’importanza del paesaggio. Tutte cose ormai perdute nei contesti metropolitani e che non si acquistano al supermercato e neanche sul web”.

Detto sempre tra noi: chi andrà a governare questa regione non sciupi questa occasione. Come l’emergenza ordinaria della sanità, anche questa occasione c’è da molto tempo. Ma se si è capaci, la parola fine (all’emergenza ordinaria sanitaria e alle potenzialità, che diventano realtà) questa volta sarebbe bellissima.

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