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Banchi vuoti a scuola

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Ci sono numeri più chiari di altri. Che dicono una cosa semplice e inaccettabile: quello che il Nord ha perso in poco più di un anno di pandemia, il Sud non lo ha mai avuto.

Sono numeri che spiegano meglio di altri come e perché l’Italia è un Paese spaccato in due, dal momento che rappresentano persone, beni e servizi su cui un cittadino – a seconda di dove nasce o risiede – può o meno contare.

Prendiamo i dati che Save the Children ha diffuso circa gli effetti negativi della chiusura delle scuole e quindi delle mense scolastiche, a causa della pandemia, sulla salute di bambini e ragazzi. Non si sono persi solo apprendimento e socialità. La chiusura delle mense ha fatto venire meno, per molti di loro, il tempo pieno e buona parte dei contatti umani, ma soprattutto l’unico pasto completo e di qualità della giornata. Un impoverimento tanto inedito per il Nord Italia, quanto cronico per le regioni del Sud.

Una rinuncia che, sempre secondo le stime di Save the Children, ha comportato negli ultimi mesi un impatto allarmante sulla salute dei minori in termini di povertà e malnutrizione. Andando però ad aggravare diseguaglianze che, ben prima dell’emergenza sanitaria, evidenziavano deprivazioni gravi a carico delle famiglie con figli soprattutto al Sud e nelle cosiddette aree interne.

In generale, secondo le ultime stime, mentre nelle scuole primarie il 56% dei bambini ha accesso ad una mensa scolastica, per un totale di circa 1 milione e 530 mila bambini, alla scuola dell’infanzia la percentuale sale all’83%, con oltre 1 milione e 200 mila bambini. Ma ciò che varia sensibilmente è la situazione tra le diverse regioni, con una presenza delle mense più alta nelle regioni del Centro-nord, dove la percentuale di bambini che accede alla mensa può raggiungere, in diverse province, anche il 70-80%.

Una percentuale che, se ha generato nell’ultimo anno una ricaduta in termini assoluti più grave al Nord per quanto riguarda l’interruzione di un servizio qui ben più diffuso che altrove, non può passare inosservata riguardo le forti diseguaglianze pre-Covid nelle regioni del Sud in termini di servizi all’infanzia e all’istruzione. Con il risultato – comune del resto a tutti i servizi e per tutti i livelli essenziali delle prestazioni – che se il Paese fa i conti con l’emergenza, il Sud si trova a farli con “l’emergenza nell’emergenza”. E con povertà nuove che vanno a sommarsi ad un impoverimento più generale e molto più datato.

Consideriamo il dato principale, la percentuale cioè degli alunni che usufruiscono della mensa (ricavata dal confronto tra gli alunni a mensa e gli alunni in totale per ogni singola regione). Ebbene, i risultati tratteggiano una forbice tra le più ampie in tema di servizi all’istruzione, all’infanzia ed alle famiglie: Liguria, Toscana, Valle d’Aosta e Lombardia superano l’80% di alunni a mensa, mentre nelle ultime posizioni troviamo la Campania al 25%, Calabria al 24%, Molise al 22%, Puglia al 16% e Sicilia al 10%. Questa fotografia, di per sé eloquente, si completa alla luce degli importi della spesa pubblica per il settore dell’istruzione, rispetto al quale la Lombardia ha potuto investire, nel 2019, oltre 400 milioni di euro, a fronte della disponibilità della Puglia, ferma ad appena 32 milioni, con ricadute identiche sui Comuni e sui servizi all’infanzia, a loro volta trascurati in modo grave, nonostante rientrino nel percorso educativo unitario riconosciuto dal nostro ordinamento legislativo dalla nascita ai sei anni.

Non a caso, il Rapporto 2020 del Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza (CRC) ha messo in evidenza che proprio al Sud un numero ancora molto alto di bambini fruisce solo a tempo parziale della scuola dell’infanzia, solo la mattina e per non più di 25 ore settimanali. Quindi senza condividere un pasto quotidiano completo, né un apprendimento ed una socialità continuativi, con percentuali di offerta educativa che se nel Nord hanno superato anche la soglia europea del 33%, in Calabria, Sicilia e Campania si ferma al 10%.

Sempre secondo un recente studio di Save the Children, “delle nove regioni in cui oltre metà dei bambini non accede alla mensa, cinque registrano anche la percentuale più elevata di classi senza tempo pieno: Molise 94,27%, Sicilia 91,84%, Campania 84,90%, Abruzzo 83,92%, Puglia 82,92%, superando ampiamente il dato nazionale già critico, secondo il quale oltre il 66% di classi primarie risulta senza il tempo pieno. In cinque di loro, si osservano anche i maggiori tassi di dispersione scolastica d’Italia: Sardegna 21,2%, Sicilia 20,9%, Campania 19,1%, Puglia 18,6% e Calabria 16,3%2”.

Tornando all’impatto sulla salute alimentare dei bambini legato alla chiusure delle mense scolastiche, Save the Children rileva anche che già prima della pandemia, secondo gli ultimi dati disponibili sulla deprivazione delle famiglie, il 6% dei bambini non era nelle condizioni di consumare un pasto proteico adeguato ogni giorno. Non solo. La pandemia ha colpito soprattutto le famiglie con bambini e la povertà minorile, nel 2020, ha avuto un’impennata, con 200mila minori che sono scivolati in una condizione di povertà estrema: oggi, una condizione del genere riguarda in totale oltre 1 milione 300mila minorenni, con un aumento in termini percentuali dall’ 11,4% al 13,6%. Se quindi per la maggioranza dei bambini la chiusura della mensa rappresenta solo la perdita di una occasione per socializzare con i compagni di classe, per quelli che si trovano in una condizione di povertà materiale e alimentare – le percentuali parlano di almeno 160mila bambini – significa subire una perdita grave per la loro crescita.

Nonostante, poi, l’incremento della povertà assoluta registrato dall’Istat abbia colpito le regioni del nord del Paese, dove l’opportunità del servizio mensa è più presente e consolidata, le percentuali di impoverimento restano drammaticamente sbilanciate nel Mezzogiorno. Partiamo dal dato nazionale. Nel 2020 le famiglie in povertà assoluta hanno superato la soglia di 2 milioni (il 7,7% del totale, da 6,4% del 2019, +335mila), per un numero complessivo di persone pari a circa 5,6 milioni (9,4% da 7,7%, ossia oltre 1milione in più rispetto all’anno precedente). Ma, nonostante l’incremento della povertà assoluta sia stato maggiore nel Nord, dove ha riguardato 218mila famiglie (7,6% da 5,8% del 2019), per un totale di 720mila individui, il Mezzogiorno resta l’area del Paese dove la povertà assoluta è quella più elevata e coinvolge il 9,3% delle famiglie, contro il 5,5% del Centro. Lo studio regionale del Gruppo CRC sottolinea infatti che in Italia i minorenni che vivono in povertà sono il 56% in Sicilia, il 49% in Calabria, il 47% in Campania ed il 43% in Puglia. All’opposto, Friuli ed Emilia Romagna (rispettivamente con il 14.9% e il 15.8%), Veneto (17.5%) e Umbria (20%).

Dal momento poi che la presenza di figli minori espone maggiormente le famiglie alle conseguenze della crisi – con un’incidenza di povertà assoluta che passa dal 9,2% all’11,6% – i mancati investimenti per i servizi all’infanzia come asili nido, scuole, mense, personale, trasporto locale e tecnologia hanno finito per condannare il Sud ad una povertà che senza una inversione di rotta immediata è destinata a condizionare in negativo non solo i redditi futuri, ma la sopravvivenza stessa di intere regioni. Le stesse interessate, non a caso, da uno spopolamento senza precedenti e da tassi sempre crescenti di precariato e disoccupazione giovanile e femminile.

L’emergenza legata alla mancata corretta alimentazione, e dunque alla disponibilità di un servizio mensa adeguato, pesa sul Mezzogiorno anche per quanto riguarda l’obesità infantile e quindi l’aspettativa di vita in buona salute. Secondo l’ISTAT, se nel biennio 2017-2018 nel nostro Paese sono circa 2 milioni e 130 mila i bambini e adolescenti in eccesso di peso, oltre il 25,2% della popolazione dai 3 ai 17 anni, tale eccesso “aumenta significativamente passando da Nord a Sud (18,8% Nord-ovest, 22,5% Nord-est, 24,2% Centro, 29,9% Isole e 32,7% Sud). Con percentuali particolarmente elevate in Campania (35,4%), Calabria (33,8%), Sicilia (32,5%) e Molise (31,8%)”. Non è un caso che Calabria, Basilicata, Sicilia, Campania e Puglia – secondo le ultime stime dell’Istituto Superiore di Sanità – siano le regioni più colpite dal diabete (correlato al sovrappeso in età infantile) sia per incidenza che per mortalità.

Le risposte al rischio di malnutrizione ed impoverimento minorile – secondo Save the Children – passano in questo momento dagli aiuti alimentari immediati alle famiglie, ma anche dall’ipotesi di riattivazione delle mense in condizioni di sicurezza “con la riapertura delle scuole anche per le attività estive, che si stanno programmando per i mesi di giugno e luglio”. “E’ poi necessario, anche all’interno del Piano nazionale ripresa e resilienza, un intervento sistematico di contrasto alla povertà alimentare minorile, finalizzato anche alla educazione a sani stili di vita ed alimentari. Già con la Commissione Colao, Save the Children aveva avanzato la proposta, ripresa dal piano, di un fondo di contrasto alla povertà alimentare minorile. Nel Piano nazionale ripresa e resilienza occorre prevedere l’attivazione di mense scolastiche in spazi adeguatamente ristrutturati e ove possibile l’attivazione di cucine interne. Le mense vanno attivate a partire dai territori più deprivati, dove è necessaria una mensa di qualità e gratuita, proprio in virtù del suo valore educativo, per una scuola aperta tutto il giorno, e di strumento fondamentale di lotta alla povertà minorile e promozione della salute. Inoltre l’attivazione delle mense scolastiche può rappresentare anche un volano per l’occupazione – in molti casi femminile, alla luce dei dati – e per la promozione di consumi alimentari sostenibili e a chilometri zero”.

Resta, più in generale, l’urgenza di definire una buona volta investimenti pubblici ed azioni amministrative in grado di annullare le diseguaglianze croniche tra territori e determinare in concreto i livelli essenziali di prestazioni, necessari alla riunificazione del Paese. Senza la quale le regioni più ricche del Nord si troveranno ad affrontare sempre più spesso e sempre più velocemente – seppure in modo inedito – le povertà croniche alle quali il Sud è stato condannato da almeno dieci anni di illegittima ed indecente spesa storica.

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