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Vincenzo Marra

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Continua il nostro viaggio nel cinema fuori dagli sche(r)mi. Questa settimana abbiamo “incontrato” Vincenzo Marra, regista e sceneggiatore di film come “Tornando a casa”, “Il gemello”, “La prima luce”, storie di confini, di dimenticati, di periferie ferite. Per la sua attenzione al Meridione d’Italia, soprattutto a Napoli, la sua città ed ai Sud del Mondo, la Cineteca della Calabria – che segue con attenzione i registi e gli scrittori che si sono avvicinatati a questa realtà e la raccontano nelle sue contraddizioni – nel 2015 gli assegna il Premio Mario Gallo.

Come sta vivendo in questi giorni e cosa ha scoperto durante questa esperienza di isolamento?

«Sto vivendo in quarantena, come tutti, sto cercando di rispettare le regole e sto molto in silenzio. I primi giorni sono stati più duri ma adesso ho preso un ritmo, aiutato dal fatto che spesso per il mio lavoro quando scrivo passo delle giornate molto simili a queste anche se, chiaramente, con le dovute differenze. Diciamo che ho avuto conferma a delle cose che ho pensato spesso soprattutto riguardanti una mia esperienza personale di qualche anno fa: che il modus vivendi di questo periodo storico non era il migliore, queste luci, questa velocità, questa grande idea fallace di dover essere sempre felici, che la morte non esiste. Il principio della rimozione della morte è quello su cui si sono basati gli ultimi anni della nostra vita. Una società drogata in tutto e per tutto e poi è bastato nulla per mettere in ginocchio il mondo, per riportarlo a una riflessione profonda. Speriamo che tanto per noi dal basso che per i potenti, questa cosa possa essere una grande lezione».

Il suo nuovo film “La volta buona” – presentato in anteprima nella sezione Alice nella città nell’ambito dell’ultima Festa del Cinema di Roma – doveva arrivare nelle sale il 12 marzo ma, ovviamente, è tutto rinviato a causa della pandemia. Quando lo ritroveremo?

«Sì, il mio film “La volta buona” doveva uscire il 12 marzo ma, chiaramente, l’uscita è saltata. Nel film c’è un piccolo omaggio alla commedia all’italiana “nobile” ma mantenendo di fatto tutti i miei temi più importanti trattati in questi anni di lavoro. È la storia di un procuratore di calciatori fallito che vive nella periferia di Roma. Ad un certo punto gli si offre l’opportunità di andare a prendere un ragazzino che è il “nuovo Maradona” e quindi parte e va in Sud America e da lì si svilupperà tutta la storia. È un film in cui ho creduto molto, un buon film. Adesso non so assolutamente quando uscirà, se uscirà e come uscirà. Rispetto a quello che è oggi il cinema, come andrà a finire è un mistero. Per come stiamo vivendo il presente, è impossibile fare qualunque pronostico».

Una crisi così profonda riuscirà a rifondare il cinema italiano?

«Rispetto a una crisi come questa, la paura è che ci sia un gruppo sempre più ristretto di persone che faranno delle cose a discapito di tanti altri con la giustificazione che non ci sono più budget. La speranza è che si possa dare più spazio a contenuti di spessore e non solo al puro intrattenimento. Chiaramente le visioni sono diverse. Questa è la mia, poi magari, altre persone sosterranno che dopo un evento come questo bisogna assolutamente evadere, creare commedie oltre il necessario. A quel punto, secondo me, si tornerà alla dinamica della rimozione delle cose. Mi auguro, invece, che si possa passare a dei contenuti più importanti».

Cosa pensa dell’idea del ministro Franceschini di una Netflix della cultura italiana?

«Rispetto a quello che dice il ministro Franceschini, penso che in questo momento qualsiasi tipo di iniziativa per poter diffondere dei lavori, per poter cercare di portare avanti un discorso rispetto al nostro cinema, possa essere importante. Meglio chi ha proposte che chi non ne ha. Rispetto alla pandemia, sono diventato una specie di esperto. Ho visto che ci sono tutta una serie di persone che, comunque sia, fanno le cose, magari anche sbagliando. E ci sono tutta una serie di persone che, come al solito, parlano di quello che hanno fatto gli altri. Questa è cosa che capita spesso nella vita di un regista».

Da napoletano autentico, cosa pensa del fenomeno “Gomorra Movies” che impazza in questi giorni sulle piattaforme?

«A Napoli ho dedicato tutto il mio lavoro. Vivo a soli 180 km ma mi sembrano milioni di chilometri di distanza. Sono come quei nostalgici emigranti di tanti anni fa; ogni giorno chiudo gli occhi e penso a Napoli, soprattutto in un periodo come questo. Per come sono fatto, non mi piace parlare dei miei colleghi, né di quelli che fanno il mio stesso lavoro, quelli che fanno film, documentari, fiction. Posso dire che, rispetto a Napoli, ci sono cose che vedo più vicine e condivido ed altre che vedo molto distanti da me».

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