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REGGIO CALABRIA – L’allarme risuona da giorni dalle Alpi all’Etna: un ulteriore terribile effetto collaterale del Covid-19 sarà per la giustizia italiana perché il provvedimento “svuotacarceri”, inserito nel decreto CuraItalia, sta mandando ai domiciliari perfino i boss. Ma i numeri ufficiali cosa ci dicono realmente ed in Calabria cosa sta succedendo? Si tratta davvero di un “fuori tutti” oppure una rondine, ovvero una manciata di casi eclatanti non fa primavera, e comunque non dipendono dalla recente normativa anticovid? Ed allora procediamo con ordine.

COME FUNZIONA LA NORMATIVA

Intanto il decreto legge del 17 marzo scorso prevede la detenzione domiciliare solo nell’ipotesi di una pena detentiva non superiore a 18 mesi, inoltre per coloro che hanno una pena da scontare inferiore ai 18 mesi ma superiore ai sei mesi la concessione è subordinata al braccialetto elettronico; chi invece ha fine pena inferiore a sei mesi può andare alla detenzione domiciliare semplicemente dimostrando di avere la disponibilità di un alloggio. In entrambi i casi la valutazione è, comunque, rimessa alla decisione del magistrato di sorveglianza.

Dalla misura sono rigidamente esclusi i delinquenti abituali, seriali, i terroristi, i detenuti sottoposti a un regime di sorveglianza particolare, e, come, ha recentemente anche precisato il Ministro Lamorgese, anche i detenuti sottoposti al 41 bis. La titolare degli Interni ha però ulteriormente precisato: «Il 41 bis è escluso dalla normativa anticovid, ma l’ultima parola è del giudice».

I casi eclatanti dei mafiosi finiti comodamente a scontare la pena a casa propria quindi non sono dovuti alla normativa nuova relativa al Coronavirus e licenziata con il CuraItalia di marzo ma bensì alla normativa che disciplina l’ordinamento penitenziario in base alle norme del codice di procedura penale già esistenti ed agli ultimi pronunciamenti giurisprudenziali nazionale ed internazionali (Edu) che, in casi specifici, indicano incompatibilità di determinati soggetti con il regime carcerario detentivo.

In Italia le presenze nelle camere di pernottamento sono al 16 aprile 2020 circa 54.998. Si mantiene stabile il numero di positività al Covid, concentrato soprattutto in alcuni Istituti del Nord Italia. Non si registrano invece casi in dieci regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta) e nella Provincia autonoma di Bolzano. Nella riduzione di circa 6.000 presenze negli Istituti penitenziari, maturata dal 1°marzo, in 2.078 casi si è trattato di uscita in detenzione domiciliare (in 436 casi con applicazione del braccialetto elettronico) e in 425 casi di licenze fino al 30 giugno di persone semilibere (Fonte Garante Nazionale per questi due ultimi dati, ndr). Nonostante il calo, il tasso di affollamento rimane di circa il 120% e non è omogeneo nel territorio nazionale.

Ma veniamo alla Calabria ed alle richieste effettive consentite dal CuraItalia di marzo. «Il numero totale delle richieste di detenzione domiciliare presentate – spiega il Garante regionale dei diritti dei detenuti Agostino Siviglia – è leggermente superiore rispetto a quelle istruite e a quelle inviate senza accertamento perché palesemente inammissibili. La differenza è data da quelle con i domicili ancora in via di accertamento. Per quanto attiene altre misure alternative i dati non sono significativi. Non ci sono state flessioni in eccesso».

«Rispetto alla capienza regolamentare dei nostri istituti di pena prevedono 2734 detenuti, al 31.3.2020, ne sono presenti 2832, quindi, un numero addirittura superiore rispetto a quelli presenti alla data del 29.2.2020, che risultavano essere 2779. Se si considera, inoltre, che sono stati trasferiti 150 detenuti (dislocati fra i 12 istituti penitenziari della Calabria) provenienti dalle carceri in rivolta, si può agevolmente constatare che al detto incremento della popolazione detenuta non corrisponde, al momento, alcun alleggerimento del sovraffollamento carcerario, né per effetto delle recenti previsioni relative alla detenzione domiciliare, né per effetto dello sveltimento delle procedure definitorie delle altre misure alternative alla detenzione né, in ultimo, per effetto della sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, laddove siano state evidenziate comorbilità ad alto rischio in caso di contagio da Covid-19».

Quindi l’effetto avuto dalle ultime disposizione normative anti covid in Calabria sarebbe esiguo?

«Sì l’effetto è estremamente contenuto dovendosi sempre fare riferimento al potere decisionale del magistrato di sorveglianza e quindi al suo libero convincimento sulla pericolosità sociale del detenuto di riferimento, ovvero alla sussistenza di un domicilio idoneo».

Può farci qualche esempio e fornire un dato esemplificativo?

«L’esempio paradigmatico è quello di Catanzaro. Qui praticamente il dato è zero su 80 richieste di rilascio per normativa anticovid nessuno ha lasciato il carcere, a Reggio Calabria su sole 45 richieste ne sono state accolte invece nove. I numeri sono chiari per coronavirus non è uscito quasi nessuno tranne appunto quelle situazioni di comorbilità doppia o dovuta a più patologie che risultavano incompatibili con il regime carcerario e che, per di più, in caso di contagio sarebbero potute risultare letali».

Ma scusi quindi i boss condannati in maniera definitiva che escono per pericolo covid…

«Non escono per le misure anticoronavirus ma a normativa invariata per il libero convincimento del giudice che sulla base dell’ordinamento penitenziario ovvero del codice finito può concedere misure alternative alla detenzione in fase esecutiva ovvero modificare la misura cautelare allorquando ci siano situazioni di patologia sanitaria incompatibili con il regime carcerario per come più volte chiarito sia dalla suprema corte di Cassazione che dalla corte europea dei diritti dell’uomo».

A fronte delle rivolte nelle carceri, il sistema penitenziario calabrese è sembrato saldo

«Ha retto fino al momento dell’urto del virus. Non si è registrato nessun contagio in nessuno dei 12 istituti penitenziari della Calabria e sono stati garantiti i colloqui via skype e con video chiamate con telefonini forniti dal amministrazione penitenziaria e anche l’assistenza sanitaria è stata generalmente garantita seppur segnalo ancora una volta il mancato reclutamento dei necessari infermieri presso il carcere di Arghillà nonostante le continue rassicurazioni dell’Asp».

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