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CI sono voluti quasi tanti anni quanto quelli che avrebbe dovuto scontare in carcere per la somma delle condanne ricevute. Tanto è il tempo  passato da quando Aldo Miccichè è fuggito in Venezuela nel 1991. Ieri, finalmente, è stato arrestato a Caracas, dove per due decenni non ha mai smesso di essere un cittadino libero, un imprenditore stimato, un politico ricercato e ascoltato da tutti, in Venezuela come in Italia. Ma era anche un uomo al servizio della ‘ndrangheta e soprattutto di quella elite criminale rappresentata in Calabria e Oltreoceano dalla cosca dei Piromalli di Gioia Tauro. Il mandato di cattura internazionale firmato dall’ex Procuratore della Repubblica di Reggio Pignatone, dal procuratore aggiunto Prestipino e dal sostituto Di Palma, emesso dopo l’ulteriore condanna, questa volta per 416 bis, a conclusione del processo “Cento anni di storia”, ha portato a questo esito. E’ un risultato straordinario, perché “straordinario” è il personaggio. Non siamo di fronte ad uno dei tanti latitanti della ‘ndrangheta, e nemmeno di fronte ad uno dei suoi più feroci boss. E non si tratta neanche di uno di quei narcotrafficanti internazionali al servizio delle ‘ndrine che sono entrati anche con degli aloni di mito nella pubblicistica degli ultimi anni: uomini come Giorgio Sale o Roberto Pannunzi, capaci di fare affari con i grandi cartelli colombiani o protagonisti di fughe e beffe alla giustizia italiana, ma niente di più. Aldo Miccichè rappresenta un’altra e ben più inquietante storia. Per mesi mi sono occupato di lui: ho letto ore e ore di intercettazioni realizzate sulle sue utenze telefoniche venezuelane e su quelle dei suoi interlocutori italiani, ho ascoltato la sua voce, ho cercato di ricostruire il suo passato e le tante facce di un personaggio che la gran parte della stampa ha liquidato semplicisticamente con l’aggettivo di “vecchio faccendiere democristiano”. L’ho fatto perché, ben al di là degli aspetti penali e giudiziari, Aldo Miccichè rappresenta una figura di primissimo piano del sistema di potere che la ‘ndrangheta è riuscita a costruire in Calabria e nella dimensione internazionale. Assieme al clan dei Piromalli è proprio lui il protagonista del mio “Porto Franco”. 

Un uomo che, partito da Maropati, nel cuore della Piana di Gioia Tauro, è riuscito a scalare i vertici di un potere politico occulto che ha attraversato Prima e Seconda Repubblica. E’ sempre stata questa la sua forza, per questo per vent’anni nessuno l’ha cercato. “E che cazzo, venti anni così, perché non mi arrestate?… Sono qua in Venezuela. è tanto facile. avete il mandato di cattura? Qua sono! Pigliatemi. E invece non l’hanno fatto. Loro sanno che se mi decido e dico tutto posso fare un best seller..”: così in una telefonata da Caracas Miccichè raccontava la sua latitanza a Massimo De Caro, uomo di fiducia di Marcello Dell’Utri che assieme a lui, uomo dei Piromalli, era impegnato ad acquistare il petrolio Venezuelano per conto di una società legata alla russa Gasprom. Questo è l’uomo. Non un vecchio trombone, né un millantatore: parla con ministri, sottosegretari, esponenti dell’antimafia, cardinali, banchieri italiani e vaticani, faccendieri e intermediari finanziari. E anche magistrati, che quelli da sempre a Reggio rappresentano una costante del potere occulto e parallelo della ‘ndrangheta e della massoneria. E’ lui, da Caracas, il rappresentate dei grandi affari dei Piromalli in Sudamerica e negli Stati Uniti. Affari milionari fatti con multinazionali farmaceutiche statunitensi, società energetiche e petrolifere, fino al traffico di oro o di titoli della Petrobras basiliana, all’acquisto di cemento nigeriano o di milioni di uova venezuelane con le quali rifornire Bauli e Melegatti per la stagione natalizia dei panettoni e dei pandori. E come corollario i rapporti con la banca vaticana della Ior o la spagnola Santander dell’Opus Dei. Ma la sua vera passione è la politica, quella vecchia, della sua storia democristiana, che continua ad assicurargli una rete di rapporti da mettere a frutto in ogni elezione o per provare ad alleggerire il carcere duro del 41 bis di Pino Piromalli, facciazza, intervenendo direttamente su Mastella e i suoi uomini al ministero. Ma anche la politica “nuova”, quella berlusconiana, lo vede in posizione di manovratore. Con Dell’Utri è in affari, financo il figlio del senatore sta a Caracas da lui per fare operazioni finanziarie per conto del padre. E nel 2008 è lui che fa le liste del Popolo della Libertà per il Sudamerica: la senatrice Barbara Contini, ora moralizzatrice finiana, quando deve scegliere i candidati berlusconiani è ospite nella sua villa di Caracas e sempre lui la accompagna in Colombia per il suo viaggio elettorale. E’ lui il protagonista della truffa delle schede elettorali su cui la procura di Roma non ha voluto indagare ed è lui che manda i rampolli dei Piromalli da Dell’Utri per organizzare sia il voto a Berlusconi in Calabria che quello dei “calabresi” a Milano. Ma ora comincia un’altra storia. A Roma c’è un nuovo procuratore che è proprio colui che ha firmato il mandato di cattura internazionale per Micchichè e a Reggio sono ancora tante le cose che possono essere chieste a Miccichè, e sulle quali continuare a fare luce, a partire dai quei “servitori dello stato” che gli comunicavano a Caracas persino le targhe delle macchine dei Piromalli sulle quali erano installate le microspie della polizia. Nel mondo di Aldo Miccichè, politica e affari si incontrano nella cappa del potere massonico. Un potere nero, eversivo e pervasivo, che convive trasversalmente anche con la politica presente, quella apparentemente fatta alla luce del sole. Per questo con lui, fino a quando quell’inchiesta andò avanti, al telefono parlavano tutti. 

Ora occorre vigilare. Miccichè deve arrivare in Italia al più presto. La tenacia delle nostre istituzioni deve essere più forte delle coperture di cui ha goduto e che sicuramente proverà ad attivare in queste ore sia in Venezuela che dalle nostre parti. E’ un’altra ‘ndrangheta quella che abbiamo di fronte, rispetto a quella che normalmente ci viene rappresentata. Per questo abbiamo il dovere di andare a fondo e di svelarne verità occulte e misteri. 

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