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«A MOTIVO della loro dignità, tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità». Ritengo di estrema rilevanza queste affermazioni contenute nel proemio del decreto “Dignitatis Humanae” del Concilio ecumenico Vaticano II, di cui la Chiesa in ottobre prossimo ricorderà i cinquant’anni dall’apertura. Tra l’altro, mi consentono di esprimere alcune considerazioni circa la lettera indirizzata a Paolo Borsellino dal procuratore Roberto Scarpinato, che ha suscitato tanto scalpore sia nel nostro bel Paese sia, evidentemente, all’interno della stessa  magistratura. 

La prima commissione del Csm, competente sui trasferimenti d’ufficio per incompatibilità dei magistrati, ha aperto un fascicolo per valutare le parole pronunciate dal Pg di Caltanissetta alla cerimonia di commemorazione di Paolo Borsellino (ha tra l’altro definito “imbarazzante” la presenza tra le autorità di «personaggi dal passato e dal presente equivoco»). Sono in tanti, compreso lo scrivente, a condividere “in toto” ed “in singulis”, le dichiarazioni del Pg, anche la stessa Agnese Piraino Leto vedova di Borsellino che, tra l’altro, ha dichiarato:  «Condivido ogni parola della lettera emozionante con la quale Roberto Scarpinato si è rivolto a Paolo. Non avrei mai immaginato che alcuni stralci di quella lettera inducessero un membro laico del Csm a chiedere l’apertura di un procedimento a carico del procuratore generale di Caltanissetta e fossero ritenute così gravi da  giustificarne la richiesta di trasferimento per incompatibilità ambientale e funzionale». 

Credo che quanto accaduto all’interno del Csm circa la vicenda in esame, sia quanto meno paradossale appunto perché lede la stessa dignità dell’uomo che, come ci ricorda il Concilio nel testo citato, per sua stessa natura ha l’obbligo morale di cercare la verità. I termini utilizzati nel testo conciliare non lasciano adito a fraintendimenti: ogni uomo in quanto persona, quindi dotato di ragione e di libera volontà, possiede tale personale responsabilità. 

In quest’ultimo ventennio, sempre più spesso il dibattito filosofico si è incentrato sulla responsabilità verso le generazioni future. Man mano che svanivano le certezze sul modello di sviluppo fondato sull’asservimento tecnologico della natura, l’“euforia del sogno faustiano” della modernità lasciava il posto a una visione della storia disincantata e perplessa, se non addirittura disperante e apocalittica, soprattutto Hans Jonas cercava di andare alle radici filosofiche del problema della responsabilità, che non riguarda solo la sopravvivenza, ma l’unità della specie e la dignità della sua esistenza. 

Spesso si parla di un tanto auspicato ritorno dell’etica in politica. Bene, credo che bisognerebbe partire proprio da qui, da ciò che Jonas chiama “principio responsabilità”. Essa rappresenta, infatti, secondo il filosofo: «La consapevole assunzione di motivazioni scaturite circa l’esito, le conseguenze dell’agire, rese necessarie in ragione di eccedenza di potere, che l’uomo ha, ormai, acquistato». Le stragi di Capaci e di via D’Amelio, con i loro penosi e vergognosi retroscena, sono emblematici in ragione di questa “eccedenza di potere”. Mentre da un parte vi era chi come Falcone e Borsellino rischiava la vita ogni giorno fino a perderla ed in quel barbaro modo, dall’altra vi erano esponenti dello Stato che in nome di una non meglio imprecisata “ragion di Stato” venivano a trattative occulte con la mafia. Ma forse tutto questo non dovrebbe sorprendere, visto che il “principio responsabilità” invocato da Jonas, da decenni in Italia è stato sostituito dal principio del “compromesso” costi quel che costi, tanto chi paga sono sempre i poveracci. Qualcuno si è chiesto, data la mancanza di riscontri specifici alle accuse mosse da Scarpinato: ma che fine ha fatto quel dovere del magistrato di «imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni» stabilito dall’articolo 1 del decreto legislativo 109/2006 che regola la professione? E dov’è finito, davanti ad accuse così gravi adombrate sulle istituzioni di un Paese, il dovere di terzietà ed equilibrio sancito dalla Costituzione? 

Fatti salvi questi principi, la lettera in esame, scritta più  con “il cuore che con la ragione”, lascia supporre dei riscontri oggettivi che sebbene ancora non siano stati riconosciuti con una sentenza definitiva, lo sono nei fatti. Quelli concernenti il trasferimento di Ingroia (anche in altri contesti è così: se dai fastidio vieni trasferito) e, soprattutto, nel sentimento della gran parte del popolo italiano. Questo sentimento non è un puro e semplice “si pensa o si dice”, ma autentica vox populi. In nome di questo Popolo italiano spero a breve avremo anche le tanto attese sentenze. Chissà forse anche al Pg Scarpinato (come è accaduto al sottoscritto) il Csm alla fine imputerà la “mancanza di prudenza”. 

Il giovane giornalista Paolo Gambi in un suo recente volume, dal titolo “Quello che i preti non dicono (più), duemila anni di linguaggio anticlericale nelle parole dei santi”, annota: «spesso si ha una concezione della verità mediata da processi mentali di matrice (…) vetero gesuitica: prima della verità viene la prudenza, la cautela, la circospezione, con la conseguenza che non si sa mai quale sia la verità. Qual è la verità quella mormorata nel buio o quella taciuta alla luce»? Lascio concludere queste mie note al santo medico Giuseppe Moscati: «Ama la verità, mostrati qual sei, senza infingimenti, senza paura e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, tu accettala; e se il tormento, tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, sii forte nel sacrificio». 

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