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ERAVAMO oltre 150.000, sabato 16 marzo a Firenze. Un  esercito pacifico di persone, arrivate da tutta Italia e qualcuno anche  dall’estero. Semplici cittadini, magistrati, giornalisti, poliziotti, sacerdoti, amministratori, imprenditori, sindacalisti e poi soprattutto  moltissimi giovani e tutti con il  desiderio di cercare e di capire. Per non parlare poi delle tantissime persone rimaste a casa, con il cuore e la mente rivolti a Firenze. Tutti stretti attorno a centinaia di famigliari delle vittime di mafia, i veri protagonisti di quell’indimenticabile giornata. Familiari delle vittime che in questi ultimi anni in Libera hanno trovato la forza di risorgere dal loro dramma, elaborando il lutto per una ricerca di giustizia vera e profonda, trasformando il dolore in uno strumento  di impegno e di azione di pace. A Firenze, nel Salone del Cinquecento di Palazzo Vecchio li abbiamo accolti, questi familiari, abbiamo ascoltato le loro Via Crucis trasformate in Via Lucis. 

In Santa croce, nel tempio dove dormono i “Titani” d’Italia abbiamo pregato per i loro cari e poi li abbiamo  accompagnati nelle vie che dalla Fortezza da Basso portano allo stadio di Campo di Marte, dove volti noti e meno noti hanno ancora una volta scandito i nomi  di quelle vite strappate dalle mafie. Quei nomi – come pietre miliari di un cammino – li  scandiremo nuovamente oggi, 21 marzo, nelle principali piazze del nostro Paese. Oggi 21 marzo, primo giorno di primavera, segno di vita e di speranza che si rinnova. Sono più di novecento le vittime innocenti uccise dalle mafie. Pronunciare insieme quei nomi, custodirli come un seme prezioso da  accudire e da alimentare giorno dopo giorno, è il  senso della Giornata della Memoria e dell’Impegno. Le mafie sono come  la peste. Ci vogliono far credere che il cerchio del sopruso e della morte si stringa attorno a noi implacabilmente. Ci vogliono convincere che l’unica legge sia quella del più forte, che tra uomini non possa darsi fratellanza, prossimità, giustizia. E che di fronte alla violenza – violenza delle armi, ma anche della corruzione, della menzogna, dell’indifferenza – altra scelta non abbiamo che quella di farci i fatti propri, non impicciarci, badare ai nostri interessi. Tacendo quando dovremmo parlare, tirando dritto quando ci dovremmo fermare, guardando altrove quando dovremmo aprire gli occhi e guardare fisso in quelli di chi è piegato, affaticato, privato della libertà, bloccato dalla paura o svuotato dalla rassegnazione. Radunandoci nelle  piazze d’Italia per urlare ancora una volta quasi a squarciagola i nomi di coloro che le mafie hanno ucciso, noi vogliamo invece dimostrare che non siamo disposti ad ucciderli una  seconda volta con il silenzio, la rassegnazione e la diffidenza. Possiamo invece tenere in vita il loro ricordo facendo memoria delle loro storie di lotta alla mafia e facendo diventare impegno quotidiano i valori da loro professati. 

Il nostro ricordare, dunque, non vuole essere rituale, celebrativo, fine a se stesso; non  vuole essere solo un inchinarsi metaforicamente di fronte a testimonianze di generosità, di coraggio e integrità civile. Vuole  essere,al contrario, un piegarsi concretamente per raccogliere il testimone di chi ha agito per fame e sete di giustizia, avendo riconosciuto in quella fame e sete il fondamento di una vita capace d’impegno e di amore. “Per combattere la mafia – ha  affermato Luigi Ciotti dal palco di Firenze – non basta commuoversi, ma bisogna muoversi e bisogna farlo 365 giorni all’anno”.  Ogni giorno, allora, nei nostri posti di lavoro e nei luoghi dove trascorriamo le nostre giornate dobbiamo  trasformare la memoria in impegno: rimuovendo  innanzitutto quella mafiosità che si annida  dentro ognuno di noi  e dentro le coscienze addormentate o addomesticate; ricominciando a pensare che le mafie si possono sconfiggere;   affermando la cultura della legalità, dei diritti e della responsabilità;  abbandonando  la pratica dei favori ottenuti in cambio dei silenzi;  collaborando   con le forze dell’ordine e  della magistratura;  denunciando chi chiede il “pizzo”, sotto qualunque forma;  rompendo  la rete dell’indifferenza e della tolleranza e la pratica della connivenza con le organizzazioni malavitose; recuperando soprattutto quel “noi collettivo”, indispensabile per una vera lotta alle mafie.  Sì, recuperando quel “noi collettivo” che ci rende capaci di fare storia … di essere storia. E non è un caso che a conclusione della manifestazione di Firenze, Fiorella Mannoia iniziava il suo concerto, sulle note di De Gregori: “La storia siamo noi, nessuno si senta offeso, siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo. … La storia siamo noi, siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere. La storia siamo noi, siamo noi padri  e figli”.

* referente di Libera in Calabria

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