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Caro sindaco Occhiuto, se le scrivo che siamo nella cacca non è una metafora. Dal 23 ottobre nel mio quartiere è stata attivata la raccolta differenziata che prevede un ritiro a settimana per quello che viene chiamato residuo o indifferenziato, tutto ciò che non è riciclabile, insomma. E qui dentro, ovviamente, vanno anche i pannolini dei bambini. Deve sapere che a casa mia si registra una produzione elevata dovuta alla presenza di due tenerissimi marmocchi dotati di puntualità scientifica nel loro ciclo digestivo. “Non si preoccupi, c’è il secondo giro”, hanno assicurato gli operatori. E il secondo giro è una pezza chiaramente aggiunta a posteriori, che prevede una raccolta specifica del residuo al giovedì mattina solo per chi è prenotato. 

Il sospetto che fosse un “bidone” era, anche per assonanza con il tema della spazzatura, elevatissimo. E infatti il 13 dicembre, a distanza quindi di 7 settimane dall’avvio della differenziata, il secondo giro è saltato 4 volte. Ho una riserva su un quinto giovedì, perché mi trovavo fuori città, ma voglio evitare di infierire. Non le nascondo che ogni volta che riporto in casa il bidone intatto nel contenuto e se possibile ancora più fragrante nel suo odore, devo respingere la tentazione che mi indurrebbe a depositare il malloppo davanti al Municipio, magari insieme alla ricevuta, fresca di stampa, del pagamento della Tares. Il senso civico, per ora prevale. Ma continua a reclamare la propria incompatibilità con quanto si vede in una città nella quale diventare genitori significa galleggiare, appunto, proprio in quella cosa là. Deve sapere che uno dei due rampolli di cui sopra adora stare all’aperto e temo che appena inizierà ad avanzare rivendicazioni mi chiederà di trasferirci in una città che abbia un minimo di verde pubblico. Spesso devo ripiegare sulla vicina Rende, ma ormai ho paura che quei poveri animali che nel parco Robinson vivono esistenze da lager possano turbare i sogni delle mie innocenti creature. A proposito di incubi, la invito a fare un giro con un passeggino, in periferia ma anche in centro: niente rampe, spazi troppo stretti per passare, persino i topi morti che finiscono sotto alle ruote. 

Quest’ultimo aspetto dei ratti non l’ho mai raccontato a mia moglie. Lei viene da un’altra città della Calabria e per lavoro ha girato tutta l’Italia: non le volevo dare la soddisfazione di dimostrare che nella mia adorata Cosenza ci sono porcherie del genere. L’altro giorno, però, ha sentito una coppia di amici che raccontava della pioggia che, nell’asilo comunale, cadeva dal soffitto sul loro bambino. Ha benedetto la scelta di mandare i pupi in una struttura privata, ma mi ha rivolto un’occhiata eloquente. Ho provato a dirle che a Cosenza abbiamo persino le strisce rosa per il parcheggio delle mamme, ma quando mi ha chiesto come mai non ne abbia mai incontrato una, ho fatto finta di sentire uno dei bimbi che mi chiamava e sono corso nell’altra stanza. 

Giovedì sera, invece, per spostare l’attenzione da quel contenitore rimasto pieno di pannolini, non mi è rimasto che portare tutta la famiglia in centro a guardare le luminarie colorate. Come le ha chiamate lei, signor sindaco? Optical design, mi pare. Ecco: potevamo stupirvi con effetti speciali, ma noi siamo Cosenza. E siamo nella cacca.

PS: nel caso le venisse voglia di rispondermi, per evitare di banalizzare la questione collegandola alle difficoltà delle discariche, è bene precisare che il lunedì il residuo è stato raccolto sempre con puntualità.

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