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IN 149 comuni della Calabria, oggi i cittadini, oltre che per eleggere gli europarlamentari, voteranno per rinnovare le amministrazioni locali. Si tratta per lo più di piccoli centri, solo due, Rende e Montalto Uffugo, sono quelli più grandi nei quali è previsto un eventuale turno di ballottaggio. Quanto l’espressione del voto per il Parlamento europeo è consapevole? Quanto i candidati sono riusciti ad esprimere efficacemente i programmi in campagna elettorale, con l’onere aggiuntivo che avevano di far capire che l’assemblea massima dell’Unione non è un’entità lontana che serve solo a pochi per conquistare un seggio “importante”?

La sensazione è che in molti voteranno per le europee solo per simpatia (nei confronti dei candidati o del partito o gruppo di partiti di cui sono espressione) più che per condivisione di un programma che sia stato percepito nella sua effettiva portata. E anche domani c’è da scommettere che in tanti aspetteranno di vedere chi ha vinto alle consultazioni europee solo per verificare se ci sono segnali di tenuta o di discostamento rispetto al quadro politico nazionale disegnato dalle ultime elezioni. Insomma, per usare un’espressione adoperata ieri su questo giornale dal prorettore dell’Unical, Guerino D’Ignazio, «tendiamo a dimenticarci della forte presenza dell’Europa nella nostra vita quotidiana…».

Detto questo, non occorre andare troppo indietro nel tempo, o rovistare nelle cronache di lunghi periodi (basta riguardare le prime pagine della settimana appena trascorsa) per rendersi conto della centralità della pubblica amministrazione in Calabria a partire da chi governa i piccolissimi Comuni. Se, per esempio, come è accaduto a Badolato (3.157 residenti secondo dati Istat all’1 gennaio 2013), il Comune viene sciolto per infiltrazioni mafiose, vuol dire che non ci vogliono i volumi d’affari dell’Expo milanese per suscitare appetiti della malavita, la quale, inevitabilmente, soffoca presente e futuro di questa regione, quand’anche essa fosse fatta solo da tanti Badolato (per numero di abitanti e briciole di business). E’ solo l’ultimo degli scioglimenti per sospetto di malaffare di piccoli e grandi enti calabresi.
Se nel Reggino qualcuno dà fuoco all’auto del padre del sindaco di un piccolo centro, episodio che va ad allungare un elenco infinito di intimidazioni ad amministratori locali, vuol dire, salvo eccezioni patologiche, che la buona amministrazione dà fastidio, anche in quelle realtà municipali “povere” (e, di risorse statali, i comuni saranno sempre più poveri) dove al massimo il malandrino di turno può aspirare a controllare l’assunzione di un custode al camposanto o l’assegnazione degli spazi per le bancarelle di lecca lecca e noccioline alla festa patronale.

Se, poi, le piccole economie dei paesi sono in qualche caso (come avrebbe consentito di appurare un’inchiesta dei carabinieri a Petilia Policastro, nel Crotonese) quasi per intero in mano ai clan, allora si comprende quanto difficile e delicato, ma nello stesso tempo strategico, sia il ruolo che le amministrazioni locali possono giocare.
Lo è ancor di più se si considera che il malcostume, ma sarebbe più corretto dire la propensione all’illegalità – quell’illegalità che ammazza il territorio stesso in cui razzolano i furbetti del contributo pubblico piuttosto che delle truffe all’assicurazione con i finti incidenti stradali – è talmente diffusa, talmente “popolare” che è difficile dire se sia più urgente “sperare” nelle politiche dell’Unione europea o prendere coscienza che qui da noi così non va. 

Non è che in Calabria è tutto marcio o lo è necessariamente più che altrove. E’ che qui i livelli di crisi sono più allarmanti che altrove. E agli indicatori economici scoraggianti si aggiunge quella devastante propensione all’illegalità diffusa. Ecco perché quasi quasi le elezioni comunali sono davvero più importanti di quelle europee, e i Comuni, anche quelli piccolissimi, possono diventare straordinari laboratori di una nuova civiltà amministrativa che parta dal senso stesso di comunità. Un paese di mille abitanti che diventi virtuoso appare oggi un traguardo forse più ambizioso di una valanga di monete da due euro.

Che poi “nuova civiltà amministrativa” e ritrovato senso di comunità non è che chissà che vogliano dire: di sicuro, per esempio, non fanno rima con furbi, favori e pastette. Del resto un sindaco che abbia normali doti di intelletto ha la possibilità di scegliere consapevolmente se puntare al consenso per le cose che fa per tutti o alle clientele per favorire pochi e se stesso, se aspirare a passare alla storia o rischiare di finire nelle pagine di cronaca giudiziaria, se raccogliere i sorrisi di gratitudine dei giovani del suo paese (quand’anche siano rimasti in pochi) o autocompiacersi allo specchio nel limbo della sua stanzetta. O no?

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