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LA ”NDRANGHETA ha ormai “occupato” il Nord, e non si tratta più di semplici “infiltrazioni”. L’allarme è arrivato da diverse sedi di Corte d’Appello (da Nord, appunto, a Sud), nel giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, con i riflettori puntati sulla potenza dell’organizzazione criminale calabrese, ulteriormente accresciuta. Ed è arrivato ieri, a conclusione di una settimana nera per l’immagine della Calabria, nella quale la brutta storia di Corigliano (quella della creatura lasciata morire per truffare con più profitto l’assicurazione dopo un finto incidente stradale) ha suscitato il ribrezzo nazionale. Probabilmente altri riflettori, quelli della tv che sempre più fa leva sui fattacci di cronaca per confezionare ore e ore di confronti tra esperti e pseudoesperti, si accenderanno nelle prossime ore sulla nostra regione, proprio per la truffa che gli investigatori ritengono di aver scoperto a Corigliano.

In questo caso la Calabria ne uscirà inevitabilmente a pezzi. Una nuova macchia sporcherà quella stessa Calabria della ‘ndrangheta che ammazza, traffica droga e conquista il Nord, quella stessa Calabria delle migliaia di falsi braccianti agricoli, quella stessa Calabria degli assenteisti, quella stessa Calabria dei professionisti che si prestano alle truffe alle assicurazioni e via dicendo. Dire che la Calabria non è questo è un falso grossolano che non servirebbe a nessuno, men che meno ai calabresi. Il problema è, invece, un altro. Perché se i fatti di cronaca sono incontestabili e vanno riferiti per quel che sono e commentati come ciascuno ritiene (fermo restando l’accertamento in sede giudiziaria, al netto quindi dei clamori mediatici), il rischio è che si perda di vista una realtà meno suscettibile di far clamore: la Calabria è anche altro, è una terra abitata da persone perbene e lavoratori onesti (e non sono affatto pochi) ed è una terra che soffre in silenzio, e piange, e non solo per colpa dei suoi farabutti che prima o poi finiscono nelle pagine della cronaca giudiziaria, ma anche perché una classe dirigente per decenni non ha “diretto” bene. Anzi, lo ha fatto malissimo, lasciando che i servizi essenziali si riducessero al lumicino.

E così, oltre al danno di vivere in una regione prigioniera della ‘ndrangheta (che comunque erode gli spazi della libertà e non è, quindi, solo un problema di immagine), ostaggio della malamministrazione (basti pensare all’assistenza sanitaria che ha picchi di indecenza), additata dal resto dell’Italia come la tana dei malvagi (quando invece è lampante che certe cose non hanno cittadinanza), i calabresi “normali” rischiano che l’attenzione si allontani sempre più dall’urgenza che anche la loro terra diventi “normale”. Cioè un posto in cui si ha diritto a ricevere le cure se ci si ammala (senza dover prendere il treno, ammesso che lo si trovi), in cui gli uffici pubblici devono rendere gli stessi servizi erogati nelle altre parti del Paese, una regione nella quale, insomma, valga la pena di vivere.

Perché è davvero difficile capire quali siano le cose più incivili che succedono in Calabria: quelle che finiscono sui media nazionali o quelle che i calabresi subiscono silenti e incolpevoli?

twitter: @ro_valenti

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