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Elio Costa

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SAPERE quando è il momento giusto per andare via è un’arte che si apprende con il tempo, ma che richiede anche un certo talento naturale. Ecco, probabilmente il sindaco Elio Costa questo momento non lo ha mai voluto accettare e ora – contrariamente alla sua precedente esperienza che lo vide uscire di scena sempre anticipatamente ma in modo totalmente diverso, come, cioè, la figura forte che non si piega ai partiti e alle loro bizze – l’epilogo della sua seconda esperienza amministrativa è realmente inglorioso.

LA CRISI E LE DIMISSIONI DEI CONSIGLIERI

La città che gli aveva dato un credito come forse mai in passato, perché vedeva nell’uomo, nel magistrato la persona giusta per risollevare le sorti di un capoluogo finito nel baratro del dissesto, in un paio d’anni ha iniziato a voltargli le spalle e quel consenso che gli aveva permesso di sbaragliare la concorrenza arrivando a farlo sedere sullo scranno più importante di Palazzo Razza al primo turno è andato via via dissolvendosi, come la rugiada al sole, fino a diventare insofferenza. Nell’era dei social network, in cui le emozioni galoppano e fotografano lo specchio, più o meno positivo, della società, lo share del sindaco Costa è sotto zero.

D’altronde, è sufficiente imbattersi nello sciame di commenti negativi a questa amministrazione e di soddisfazione nell’apprendere della fine di questa esperienza. E sono lontani quei tempi in cui il 78enne magistrato in pensione veniva visto a capo di un esercito, un vasto esercito.

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Adesso, invece, è un uomo solo, che ha pagato la volontà di accentrare a sé ogni cosa, a gestire tutto, a delegare il meno possibile. Un uomo solo, come Napoleone sull’Isola d’Elba, ma non domo, pronto a tornare a quel civismo, a quell’associazionismo che è sempre stato il suo cavallo di battaglia, forse perché dei partiti non si fidava troppo, forse perché i partiti non sono gestibili. Civismo e finto civismo sono stati la sua delizia e la sua croce, una medaglia e il suo rovescio. Come attenuante, c’è da dire, che ha ereditato un ente collassato in ogni struttura, senza soldi, con debiti enormi.

Si è messo in gioco ma probabilmente questo è stato più grande di lui. I problemi sono stati praticamente all’ordine del giorno: la spazzatura in primis. Le aspre polemiche per la gestione del servizio di raccolta rifiuti, con un appalto da 10 milioni di euro che avrebbe dovuto rivoltare Vibo e frazioni come un calzino e che invece ha fatto registrare a cadenza fissa gravi emergenze igienico-sanitarie che hanno portato la magistratura ad indagare; la viabilità cittadina con sempre più richieste di risarcimento pervenute all’ente, senza dimenticare le polemiche sulle strisce blu: a Vibo Marina un’intera comunità si è rivoltata, a Vibo città invece qualcuno è finito col beccarsi una multa dopo aver lasciato la propria auto in una sosta libera per poi trovarla, dopo alcuni minuti, perimetrata da quella a pagamento.

Il trasporto pubblico con quell’autobus arancione che gira desolatamente vuoto e l’autista a fare tenerezza e senza qualcuno che possa trasgredire la voce “non parlare al conducente” per scambiare qualche parola. Un’amministrazione che si ricorderà per l’assenza di opere pubbliche: neanche quel Teatro di cui la precedente giunta a guida D’Agostino – che molti pensavano essere stato il peggior sindaco di sempre ma che ora, probabilmente, si devono ricredere – era riuscita a intercettare i fondi è stato terminato. L’opera sulla quale Elio Costa puntava più di altre, più dell’annoso Piano strutturale comunale che ancora attende di approdare in Consiglio, più del piano del Commercio (a proposito, su Corso Vittorio, negli ultimi anni, ben 40 negozi hanno chiuso), più del Piano spiaggia e di altri importanti strumenti urbanistici.

Un’amministrazione che si ricorderà per la girandola di assessori, la maggior parte dei quali (ben sette) all’Ambiente. Se l’è presa con la burocrazia, il sindaco, che gli ha tarpato le ali, se l’è presa con i gruppi consiliari, se l’è presa anche con i cittadini. Con tutti tranne con se stesso, standosene rinchiuso in quel palazzo, vivendo in un generale un distacco da quella stessa popolazione, che lo aveva sostenuto regalandogli il 50,75% dei consensi, e dalla realtà, come quando disse – commentando i dati di Italia Oggi sulla qualità della vita che avevano posto il territorio e in primis il capoluogo fanalino di coda in Italia – che era stata data una lettura sbagliata in quanto ai suoi occhi la città viveva un buon momento. Non mettiamo in dubbio che lei ami Vibo, ma ci sono limiti che non si possono valicare. E poi, è innegabile che al pari del sindaco (e forse anche di più) neppure i gruppi di maggioranza hanno brillato per senso di responsabilità perché già da mesi avrebbero potuto staccare la spina e presentarsi agli elettori sotto un’ottica diversa, positiva.

Sarà dura, adesso, per loro dimostrare di non essere stati complici di un’agonia amministrativa. Napoleone fuggì dall’Elba, è vero, pensò di tornare a dettare nuovamente legge ma gli fu consentito solo per 100 giorni prima di essere sconfitto definitivamente a Waterloo ed esiliato a Sant’Elena, punto sperduto nell’Atlantico. Neanche lui aveva capito che era giunto il momento di fermarsi.

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