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COSENZA – «Ci eravano impegnati a non far prevalere divisioni personali, legate a vicende del passato perché, oggi, non possiamo correre il rischio di schierare i circoli in una contrapposizione frontale e in divisioni. Questo impegno lo avevamo preso tutti e non l’abbiamo raggiunto». Alfredo D’Attorre, commissario regionale del Pd non ci sta a passare per il guastafeste del partito democratico. Difende la sua scelta di rinviare a data da destinarsi il congresso regionale, ai più apparsa impopolare, e spiega le ragioni politiche della sua decisione, invitando tutti a non fare dietrologia.

Professore, scelta infelice la sua, ha letto le reazioni?

«Posso discutere ed ammettere errori e penso di essere quello che in questa vicenda ci ha messo la faccia e continuerà a mettercela. Però dalla discussione non si possono eludere i fatti».

Quali sono?

 «Siamo arrivati ad un passo dalla celebrazione dei congressi, lavorando per quattro mesi ai tre obiettivi che ci siamo prefissi: unità, rinnovamento ed autonomia del partito. Abbiamo deciso di anticipare il congresso regionale del partito, rispetto ai congressi di circolo, capovolgendo quello che sarebbe stato l’ordine logico e naturale, perché il gruppo dirigente, in tutte le sue articolazioni politiche e istituzionali, ha assunto l’impegno a ricercare una soluzione unitaria».  

Perché una soluzione unitaria ad ogni costo? Ci sembra un dialogo tra sordi.

«Abbiamo deciso di fare del congresso un momento di ricomposizione unitaria che poi si sarebbe trasferito positivamente sui territori e che non avrebbe costretto territori, circoli e militanti ad intrupparsi in uno scontro personalistico teso a riprodurre divisioni del passato. Divisioni che non riescono a parlare alla Calabria di oggi e a rispondere alle esigenze del partito. Qualcuno può dire che io abbia negato questa impostazione? Ho mai presentato il congresso regionale come una conta interna o un momento di competizione all’ultimo sangue per decidere chi doveva sconfiggere gli altri e conquistare la guida per partito? No. Ho sempre detto di accettare di anticipare il congresso perché c’era l’impegno del gruppo dirigente a lavorare in questa direzione. E ci ho messo la faccia rischiando e lavorandoci fino alle ultime 12 ore.»

Un lavoro buttato al vento?

«Abbiamo fatto lo scadenzario, abbiamo costituito le commissioni per il congresso, abbiamo messo a posto il tesseramento e fatto l’anagrafe degli iscritti che è un risultato che comunque rimane. Ho emanato il regolamento congressuale e lavorato fino all’ultimo momento utile perché si tenesse fede all’impegno politico che avevamo preso davanti ai militanti della regione Calabria». 

E poi cosa è accaduto?

«Quando mi è stato chiaro che questo obiettivo non si sarebbe raggiunto e che quindi il congresso regionale non avrebbe garantito né unità, né rinnovamento, né autonomia del partito, mi è parso doveroso richiamare tutti alle proprie responsabilità. Sia chiaro, i cinque candidati sono tutti persone degne, dirigenti capaci che avrebbero potuto svolgere bene la funzione in un altro contesto, ma è evidente che avremmo portato le nuove generazioni ad uno scontro e il processo non avrebbe fatto emergere una nuova classe dirigente mettendo a rischio l’autonomia del partito».

In che senso vede rischi per l’autonomia?

«Automomia intesa come capacità di decidere autonomamente la linea politica e le priorità. Abbiamo visto in altre parti d’Italia cosa può succedere quando ci sono primarie all’ultimo voto non sufficientemente regolate. Bisogna ricordare che avremmo fatto queste primarie con la vecchia norma dello Statuto, (tutti possono votare ndr), stiamo ragionando in queste settimane in commissione statuto nazionale, di cui io faccio parte, per trovare una regolamentazione del registro degli elettori che consenta di superare, attraverso procedure di registrazione, ciò che è successo a Napoli e Palermo, dove hanno votato elettori di altre forze politiche e sono stati determinanti ai fini del risultato elettorale. E’ evidente che il congresso regionale non poteva essere fatto con la vecchia regola senza un contesto di convergenza unitaria. Sarebbe stato solo una conta» 

Come si fa in Calabria a fare le primarie per la premiership e non quelle regionali? 

«E’ un argomento senza fondamento. Avranno un altro regolamento per evitare quello che ho detto prima. E poi non si deciderà in Calabria se vincerà Bersani o il suo antagonista all’ultimo voto. A chi ragiona con onestà intellettuale, dico questi sono i fatti. Ognuno può fare le sue interpretazioni, ma dire che il commissario regionale non abbia lavorato fino all’ultimo minuto per trovare un punto di unità nel partito calabrese è puramente falso. Nessuno troverà un elemento concreto, fattuale, per avvalorare simile tesi.»

E ora cosa succederà? 

«Non mi nascondo, nei prossimi giorni incontrerò i rappresentanti istituzionali e la settimana successiva farò una riunione con tutti i circoli per affrontare la discussione a viso aperto e con spirito di unità guardandoci negli occhi. Mi auguro che questa assunzione di responsabilità e questa onestà intellettuale sia collettiva e che tutti pro-quota si prendano una parte di responsabilità. 

Lei ipotizza elezioni anticipate alla Regione, su quali basi? Non si vedono al momento i segnali.

«La precarietà della destra calabrese è tale che è difficile ipotizzare che il governo di Scopelliti possa arrivare alla scadenza naturale. E anche per questo ci eravamo impegnati con il gruppo regionale calabrese per ragionare in termini unitari. Questo è il risultato che non abbiamo conseguito e dobbiamo interrogarci tutti»

Come si riparte?

«Dai circoli, dall’ordine naturale, dai militanti e dai territori e a quel punto, come sostiene il segretario Bersani, la ruota del rinnovamento inizierà a girare con intensità perché diventa essenziale consegnare il Pd ad una nuova generazione, valorizzando l’esperienza di chi c’è. Non possiamo intruppare un’intera generazione in questo scontro, per questo mi appello ai giovani, ne ho conosciuti tanti, bravi,  appassionati a loro dico usciamo dalle vecchie casematte e dalle appartenenze precostituite e apriamo una nuova fase per il Pd calabrese. Questi schieramenti precostituiti credo che non riescano più a disegnare il futuro del Pd della Calabria. Rispetto per tutti i candidati, li voglio ringraziare tutti, anche se con accentuazioni diverse, tutti hanno assunto una posizione responsabile, capisco l’amarezza di chi si era esposto in prima persona mettendoci la faccia, raccogliendo le firme. Penso che alla fine prevalga il senso di responsabilità.»

A febbraio il presidente Napolitano scioglierà le Camere, la campagna elettorale è alle porte, difficilmente il congresso regionale sarà celebrato prima delle elezioni politiche.

«Non mettiamo limiti alla provvidenza, i tempi sono stretti, abbiamo da organizzare le primarie di ottobre per la premiership, ci dovrà essere il percorso di selezione delle candidature e mi auguro che anche in assenza della legge elettorale con i collegi. Spero che si introducano le preferenze, almeno per una quota».

Come saranno scelti i candidati?

«Dovrà essere fatto un regolamento nazionale con procedure democratiche e certificate. Io immagino primarie in cui il candidato del Pd non venga scelto da elettori del centrodestra».

E’ evidente che lo scontro nel Pd è legato alle candidature, si parla di ambizioni personali di dirigenti nazionali che vorrebbero controllare il partito per poter entrare in lista, e tra questi si parla anche delle sue ambizioni di entrare in parlamento.

«Ognuno può fare le illazioni che vuole, io sarei stato ben contento di concludere il lavoro qui in Calabria il 24 giugno e di tornare a tempo pieno al lavoro nel partito nazionale. Ho lavorato per tre anni con Bersani e Migliavacca e adesso che parte la candidatura per la premiership sarei stato ben felice di stare a tempo pieno a Roma. Per quanto riguarda le candidature, stavolta noi non possiamo presentare liste che sono state fatte in una stanza romana». 

L’impressione che abbiamo è che lei stia seguendo l’ordine da Roma di rifondare il partito, azzerando l’attuale classe dirigente.

«Io non prendo ordini, esercito una funzione per conto del partito nazionale e cerco di svolgerla mettendomi al servizio del partito. Funzione che svolgerò fino a quando avrò la percezione che la mia presenza è utile, non un minuto in più. Dopo di che, io credo che la via giusta non sia la rottamazione, né la demonizzazione integrale dell’attuale gruppo dirigente. Penso che il gruppo dirigente si deve prendere una parte di responsabilità per quello che è successo e insieme adesso dobbiamo lavorare, senza escludere nessuno, per accelerare il percorso di apertura e di rinnovamento, partendo dalla base. Dobbiamo dare la percezione che mettiamo il Pd a disposizione delle nuove generazioni. Chi sta fuori ci guarda con sconcerto per le nostre divisioni. Abbiamo bisogno di un gruppo unito che si metta alla guida dell’alternativa a Scopelliti».

In queste ore tutti sono contro il partito nazionale.

«Dobbiamo essere onesti sul rapporto tra il partito calabrese e quello nazionale, è facile scaricare tutte le responsabilità su Roma. Se Roma si intromette è perché si cercano rapporti romani, si cercano relazioni, altrimenti dal centro nessuno si sarebbe intromesso. Davvero si può credere che qualcuno di noi abbia lavorato per ostacolare questo obiettivo di dare una guida stabile al partito?» 

 

 

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